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Direttiva UE contro le plastiche monouso. La critica del Corepla

Per il consorzio, una normativa ideologica che penalizza l’industria italiane e rallenta il processo dell’economia circolare

A fine marzo il Parlamento Europeo ha approvato una direttiva che mette al bando la plastica monouso dal 2021. L’Unione Europea impone così agli stati membri di porre un freno alla dispersione di plastiche non biodegradabili nell’ambiente e spinge produttori e aziende a sostituire piatti e posate di plastica, contenitori per alimenti in polistirolo e altri prodotti usa e getta con oggetti simili, realizzati con materiali alternativi.

Il provvedimento ha ricevuto un generale plauso dalla società civile, ma ci sono state anche delle voci critiche, come quella di Antonello Ciotti, presidente del Consorzio Nazionale per la Raccolta, il Riciclo e il Recupero degli Imballaggi in Plastica, che all’agenzia AdnKronos  ha commentato la direttiva con queste parole: “Così com’è disegnata, è piuttosto punitiva per l’industria italiana, che produce circa il 60% del monouso europeo”.

Il suo punto di vista è stato approfondito da Ecosistema, trasmissione di Earth Day Italia trasmessa da Radio Vaticana Italia.

  

Quali sono le pasticche che saranno vietate dalla direttiva che l’Italia dovrà presso recepire?

In realtà non saranno delle plastiche ad essere vietate, ma alcuni oggetti di plastica e la lista è abbastanza contenuta: piatti e stoviglie, cotton fioc, aste dei palloncini, cannucce di plastica e mescolatori per bevande, quelli che si trovano quando si prende il caffè dal distributore automatico.

Contrariamente a un’assunzione che se ne è fatta in alcune amministrazioni italiane non c’è nessuna restrizione né sui bicchieri di plastica né tantomeno sulle bottiglie di plastica che sono fuori dal bando.

Sulle bottiglie di plastica ci sono due richieste estremamente importanti.

Innanzitutto c’è una spinta alla raccolta perché le bottiglie di plastica sono il prodotto più facilmente riciclabile e siccome già ora se ne ricicla a livello europeo oltre 60%, la spinta da parte della Comunità Europea punta a raggiungere un obiettivo di raccolta del 77% nel 2025 e di arrivare al 2029 con il 90% delle bottiglie immesse al consumo che devono essere in qualche modo raccolte.

La seconda richiesta viene fatta sulle bottiglie in PET è che dal 2025 dovranno contenere il 25% di PET riciclato.

 

Questa normativa interviene anche sulle plastiche oxodegradabili che riguardano gli imballaggi di diversi alimenti?

La direttiva non fa differenza tra plastiche a base fossile, come le plastiche tradizionali, e le plastiche a base bio, ma questo è anche comprensibile perché in ogni caso, affinché si possa fare e avviare la cosiddetta economia circolare, è necessario raccogliere.

E questo è proprio quello che noi diciamo al legislatore europeo: se vogliamo effettivamente fare un’economia circolare non dobbiamo bandire, ma spingere sulla raccolta.

 

Lei è stato particolarmente critico nei confronti di questa proposta. Cosa in particolare non vi convince?

Due cose molto importanti non ci convincono.

Prima le citavo come la direttiva richieda che dal 2025 le bottiglie in PET debbano contenere un 25% di materiale riciclato e questo ci fa tutti molto contenti perché dovrebbe spingere l’industria europea a raccogliere di più e i cittadini a dare il loro contributo, ma deve anche mettersi in moto un sistema di riciclo in modo che sia fornito questo quantitativo da poter mettere nelle bottiglie.

La direttiva europea si è dimenticata di precisare che questo 25% di riciclato debba provenire da raccolte europee perché quello che si sta già verificando è che raccolte provenienti da altri paesi, dove i livelli di igienicità e i controlli sono molto più labili, si stanno attrezzando per esportare in Europa il rifiuto; quindi una direttiva che in qualche modo sembrava disegnare una spinta verso il riciclo in realtà, se rimane così come è stato scritto, potrebbe aprire la porta affinché l’Europa diventi il terminale di ricicli fatti non si sa bene come in altri paesi.

Un altro punto molto importante che ci sta molto a cuore è che bandire questi prodotti come piatti e stoviglie è una decisione presa prevalentemente dai paesi del Nord Europa ed è molto punitiva per la nostra industria perché unendo piatti e stoviglie si va a colpire un’industria di circa 3.000 addetti perché l’Italia produce circa il 60% di tutto il monouso, piatti e stoviglie, prodotto in Europa.

Quello che diciamo è che questa direttiva non presuppone più una forte spinta al recupero affinché il cittadino faccia la raccolta differenziata, ma ci sembra voler trovare dei capri espiatori dicendo: ecco, abbiamo eliminato i bicchieri e le stoviglie di plastica, il sistema del marine litter è in qualche modo risolto. Non è così, ogni volta che noi troviamo qualcosa che va nel mare è perché il consumatore non ha fatto una buona raccolta differenziata.

  

Lei vede una di ideologia anti plastica in questa direttiva eppure, lei ha parlato di marine litter, l’inquinamento da plastica è una cosa reale. Si può bilanciare la necessità di mantenere un’industria importante con quella di proteggere l’ambiente?

Certamente. Quando parliamo di inquinamento o di surriscaldamento ci dobbiamo chiedere che cosa è che procura questo questo surriscaldamento.

Il surriscaldamento è dovuto generalmente alle emissioni di questo di un gas molto molto negativo che è il CO2, l’anidride carbonica.

Queste emissioni vanno calcolate in base ai prodotti che si utilizzano perché dobbiamo comunque tener presente che 50 anni fa eravamo poco meno di 2 miliardi e adesso siamo 8 miliardi per cui c’è un aumento in qualche modo endemico, aumenta la popolazione, tutti noi consumiamo ed emettiamo più CO2.

Però la sfida, che deve essere tecnologica e non ideologica, è valutare pienamente quali sono le emissioni di CO2 degli imballaggi generalmente in plastica rispetto ai prodotti alternativi. Solo in questo modo potremo dire bandiamo un qualcosa e abbiamo un effettivo riscontro sull’ambiente.

Nel caso dei piatti e delle stoviglie le faccio un esempio molto particolare. Poche settimane fa ero in una magnifica isola della Sicilia e parlavo con gli amministratori locali i quali mi dicevano che stavano pensando di anticipare la direttiva europea e di bandire già da quest’anno piatti e stoviglie. Io ho fatto una semplice domanda: questi piatti e stoviglie con cosa verranno sostituiti? Mi hanno risposto con piatti di carta con le stoviglie tradizionali.

Allora chiedo come ci si approvvigiona di acqua e mi rispondono che arriva una bettolina ogni due giorni. Ecco, è stato fatto un calcolo di quanta acqua in più si userà con l’uso delle stoviglie tradizionali rispetto a quelle di plastica? Sicuramente si useranno più saponi, c’è un depuratore che in qualche modo li trattiene tutti?

Un altro punto molto importante da considerare quando si parla di piatti di carta è che in realtà questi piatti sono rivestiti di una pellicola molto sottile di plastica o hanno degli inibenti particolari, prodotti chimici, che fanno sì che quando si mette sul piatto cosiddetto di carta un prodotto unto il piatto in qualche modo non lo assorba. Dobbiamo quindi tenere presente che apriamo il mercato a dei prodotti che non sono riciclabili, perché la carta con sopra il foglio di plastica non è più riciclabile, rispetto a prodotti come le stoviglie e i piatti di plastica che, se fossero raccolte, potrebbero invece essere riciclate tranquillamente.

È questo che a noi non piace, si è persa l’enfasi s spingere il consumatore ad essere l’attore che fa partire l’economia circolare.

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