Antonio Ereditato, fisico dell'Università di Chicago
Innovazione Interviste

Nucleare italiano: “Si, ma di quarta generazione”

Intervista ad Antonio Ereditato, fisico e divulgatore, tra le voci autorevoli che auspicano un ritorno italiano all’energia nucleare. 

Nucleare si o no? In Italia il referendum dell’87 lo ha messo al bando, ma ultimamente sempre più politici, opinionisti, scienziati e parti dell’opinione pubblica giudicano quella scelta un passo indietro tecnologico ed ecologico. Occorre ricordare che a livello globale l’apporto delle circa 400 centrali nucleari esistenti non arriva al 10% della produzione di energia, in un mix in cui le fonti fossili sono ancora intorno all’80%. Ma quando queste saranno abbandonate, per motivi pratici o ambientali, come guarderemo a questa fonte alternativa, che l’Unione Europea, non senza polemiche, ha reinserito tra quelle utilizzabili per la transizione energetica?  

In questo dibattito politico-scientifico, a favore dello sviluppo di un nucleare italiano si allinea Antonio Ereditato: fisico e professore di ricerca all’Università di Chicago, lavora a poca distanza da dove Enrico Fermi costruì il primo reattore a fissione, capostipite di quelli in funzione nelle tre generazioni di centrali nucleari che si sono succedute fino ad oggi. Ereditato però, per il futuro energetico del Paese, auspica un mix energetico all’80% derivante da fonti rinnovabili, e un 20% da future centrali nucleari di quarta generazione. Si tratta dei cosiddetti SMR (acronimo traducibile con: piccoli reattori modulari) che sono in via di sperimentazione e costruzione in diversi paesi, e che promettono un’estrema sicurezza e un problema di scorie ridotto ai minimi termini. di quarta generazione. Insieme al fisico Stefano Buono, Ereditato ha scritto sul tema “Il nuovo nucleare. Rimettere la scienza al centro” (Ed. Egea).

Professore, perché un ipotetico ritorno al nucleare in Italia dovrebbe partire dalla quarta generazione di reattori, ancora in fase sperimentale, e non dalla terza che comunque viene promossa come sicura?

Non ho preclusioni ma cautela verso la terza generazione. Avremmo voluto e dovuto fare come la Francia, che adesso ha 40-50 reattori di un po’ di tutte le generazioni. Se avessimo iniziato a investire 30 anni fa, oggi continueremmo su una direzione di innovazioni e investimenti. 

Ma cominciando da zero, dobbiamo ragionare in termini pratici e sui tempi che non siano biblici. [Per le grandi centrali di terza generazione] temo l’effetto Nimby: “not in my backyard”: quale territorio ospiterebbe un tale sito? Sarebbe un “oggetto” impattante, che non passa inosservato. 

Tra l’altro sono 80 anni che facciamo “mini reattori”: ce n’è uno in ogni sommergibile o portaerei nucleare. Certamente sono oggetti di vecchia generazione, non modulari; non hanno tutte le tecnologie moderne, ma comunque sono piccoli, tascabili. La tecnologia e la scienza di base ci sono. Non bisogna fare nessuno sviluppo scientifico, solo sviluppi tecnologici. Ma per passare da una scoperta scientifica a un’applicazione tecnologica c’è bisogno di investimenti.

Investimenti pubblici o privati?
Oggi nel mondo gli investimenti per il nucleare di quarta generazione sono pubblici e privati… molti dai privati, soprattutto negli Stati Uniti; e questo è un  segnale, perché i privati si muovono quando c’è la promessa di un guadagno. 

Noi italiani credo dovremmo fare entrambi. Prendiamo il caso del mio amico Stefano Buono, col cui ho scritto il libro: è un imprenditore del nucleare e ci sta mettendo soldi e faccia. Sarebbe auspicabile che in un grande paese come l’Italia ci fosse una chiara posizione dello Stato; perché le cose vanno fatte insieme.

Qualunque cosa facciamo oggi avrà ripercussioni soltanto in tempi lunghi; perché le cose non si fanno da un giorno all’altro. Ci abbiamo messo decenni per arrivare a un uso decente delle energie rinnovabili. Lo stesso succederà per il nuovo nucleare di quarta generazione. Ora siamo nella fase di autorizzazione delle attività di ricerca e dei primi prototipi. Perciò io penso che arriveremo all’uso di questo nucleare nell’arco di una decina di anni.

Per la sicurezza, c’è grande differenza tra la terza e la quarta generazione? Ricordiamo che Fukushima era di seconda.

Lei sa quanti morti ci sono stati per il disastro nucleare di Fukushima? Alcune persone con cui ho parlato mi hanno risposto: migliaia. La gente fa un cortocircuito tra lo tsunami e l’incidente della centrale. Invece: zero morti. Non c’è stata alcuna dissipazione degna di nota nell’atmosfera. Non voglio minimizzare ciò che è successo, ma riportare tutto a un dibattito meno umorale e più di testa. 

Ci sono due cose fondamentali: la sicurezza e la narrativa. Alla sicurezza dobbiamo pensare noi tecnici. Alla narrativa dovete pensare voi, società dell’informazione. Idealmente sarebbe anche compito della politica, ma non lo fa. La narrativa è importante e implica informazione. È una scelta consapevole. Questo forse è più difficile che costruire un reattore di quarta generazione. Io non saprei da dove iniziare; nel mio piccolo scrivo libri, parlo, tengo conferenze. Le scelte alla fine le fa il cittadino; scelte strategiche per l’energia. Quindi dobbiamo informare.

Nelle centrali nucleari ci sono due tipi di sicurezza: attive e passive. L’ideale è affidarsi soprattutto a quelle passive. Perché quelle attive implicano un’azione di qualcuno o di qualcosa. Sarà l’intelligenza artificiale? un computer? un operatore? o una combinazione di questi? Pensi a un aereo: cento anni fa tutto era in mano al pilota; adesso è quasi tutto automatico; il pilota fa solo il controllo, l’aereo va da solo. È un po’ lo stesso con i controlli attivi. Ciò che ci interessa però è una peculiarità dei reattori di quarta generazione: la sicurezza passiva. Un mini reattore, Small Modular Reactor, in caso di problemi – ovvero surriscaldamento – per come è fatto si spegne da solo. Poiché non è raffreddato ad acqua, ma a sali o metalli fusi, ha un intervallo di raffreddamento molto ampio; molto maggiore dell’acqua. L’acqua raffredda fino a 100°C; queste alternative raffreddano fino a 1700-1800°C. Quindi, se avviene un problema di qualunque tipo, la dilatazione termica fa sì che gli elementi fissili si allontanino e il reattore si spenga per le leggi della fisica. Inoltre, questo è solo uno degli aspetti: c’è una ridondanza di sicurezze passive che rendono l’oggetto, se non totalmente sicuro, molto più sicuro.

Quali sarebbero gli altri vantaggi della soluzione che lei auspica? 

Con gli SMR la produzione di energia nucleare, da centralizzata diventa locale: da grandi reattori da 1,5 gigawatt che costano decine di miliardi, a oggetti di 3 metri cubi che producono 200 megawatt a servizio di piccole città o comunità isolate. Una distribuzione più equa dell’energia. 

Inoltre questi reattori faranno da “spazzini nucleari” perché usano le scorie come combustibile: poco uranio fresco, quasi nulla, e molta immondizia nucleare.  È una bellissima idea che Carlo Rubbia ebbe tanti anni fa al Cern. Stefano Buona aveva cominciato a lavorare su questo progetto trent’anni fa. In tutto il mondo abbiamo stock di scorie nucleari provenienti da 80 anni di funzionamento dei reattori. Ogni paese ha il suo deposito: USA, Francia, Inghilterra. In Italia stiamo ancora combattendo per averne uno, perché nessuno lo vuole (sul proprio territorio, ndr.). Si tratta di andare in una caverna profonda un migliaio di metri, buttarci quello che abbiamo accumulato e tenerlo lì per 100 mila anni finché non si raffredda. I rifiuti degli SMR invece saranno scorie che resteranno radioattive per tempi molto più brevi: uno o due secoli al massimo. In più questi reattori produrranno una grande quantità di metalli pesanti, utili per fabbricare telefonini, batterie… quelle risorse per cui si fanno le guerre. 

Molti suoi colleghi fisici sostengono che sia preferibile abbandonare la fissione per puntare decisamente sulla fusione nucleare: teoricamente del tutto sicura e senza conseguenze per l’ambiente.

Dal punto di vista della scienza di base c’è ancora un po’ di lavoro, perché dobbiamo fare niente po’ po’ di meno che il sole in laboratorio: non è una cosa facile. Purtroppo ci siamo riusciti soltanto per creare la bomba all’idrogeno. Quella si è fatta subito: negli anni 50. Perciò la fusione non controllata è stata fatta, purtroppo per un’applicazione militare. La fusione controllata è ancora un problema. Non dimentichiamo però che per la fissione nucleare la prima applicazione non fu stata la bomba del progetto Manhattan, ma la pila di Enrico Fermi costruita sotto lo stadio di Chicago. Perciò la prima applicazione fu civile, sebbene usata subito dai militari per fabbricare plutonio. 

Per la fusione siamo di fronte a un enorme problema tecnologico. Quando ero un giovane studente si diceva: tra vent’anni avevamo la fusione… ogni cinque anni si diceva “fra vent’anni”. Chiaramente il problema è complesso. Non che fisici e ingegneri si stiano trastullando: lavorano alacremente e i fondi sono notevoli. L’Europa ci ha già messo circa dieci miliardi; e investono anche americani e cinesi. È un’attività molto costosa e molto centralizzata. Non è come per gli SMR che, metaforicamente, puoi costruire nel garage di casa. Questo è un affare continentale. Iter è un mega progetto. I problemi sono tanti, anche di scienza fondamentale. Il problema dei problemi è ottenere un “Fattore Q” maggiore di 10: quanta energia ottengo in più, rispetto a quella che mi serve per innescare la reazione? Se io devo impiegare 100 per accendere il processo, devo ricavare almeno 110, altrimenti sto perdendo energia. Credo che i tempi siano dilatati rispetto allo sviluppo delle centrali a fissione di quarta generazione: 10 anni per la fattibilità, 20-25 anni per reattori funzionanti che producano energia. Diciamo che di uso pratico se ne parla per la seconda metà del secolo: neanche farlo apposta dopo quel fatidico 2050.

Come fisico mi diverto a fare la fusione: è bello, una grande sfida. Ma se fossi un politico… il ministro dell’energia, direi: investiamo nella ricerca ma non ci facciamo illusioni che poi ricaveremo energia immettendo acqua nelle centrali. Ci sono problemi tecnici di cui non si parla. Uno è l’enorme flusso di neutroni prodotti: vanno schermati, e soprattutto incidono sulla struttura stessa del reattore; un bombardamento di micro particelle che devastano tutto. Ci saranno pesanti problemi di scienza dei materiali. Un altro problema al quale nessuno pensa è che questi oggetti funzionano con fusione di trizio, deuterio. Il deuterio è abbondante, ma il trizio? In natura ce n’è pochissimo, quasi niente. Dove lo prendiamo? Indovini… dalle centrali nucleari: uno dei sotto prodotti dei reattori a fissione di nuova generazione sarà il trizio che serve per la fusione. Quindi, una mano lava l’altra. Bisogna sempre essere sensati e ragionevoli. Non esiste il bianco e il nero, ma toni di grigio.

Quindi anche per il nucleare da fusione dobbiamo lavorare. Ci credono tutti: i fisici, i tecnici, gli investitori. Però esistono vari tipi di investimento: a breve, a medio e a lungo termine. Una grande società di investimenti guarda ai prossimi 50 anni, non soltanto a domani. Questo è un investimento che io chiamerei a lungo termine.

 

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