Interviste Società

Giovannini: Sole e vento potrebbero rendere l’Italia quasi autonoma

Il direttore scientifico di ASViS commenta i deludenti risultati italiani rispetto all’Agenda 2030, ribadendo che la sostenibilità non è un costo ma un investimento sul futuro.

Pochi giorni fa l’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile ha pubblicato l’annuale rapporto che fa il punto sull’applicazione in Italia degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’Onu: la cosiddetta Agenda 2030 che ha diviso in 17 aree tematiche (energia, alimentazione, diritti, ecosistemi, istruzione ecc.) i progressi che l’umanità nel complesso, e le singole nazioni per la loro parte, dovrebbero conseguire entro questo decennio per rimediare alla crisi ecologica e sociale che minaccia il futuro del pianeta.

Enrico Giovannini – co-fondatore e direttore scientifico dell’ASViS – è intervenuto nella rubrica radiofonica “Ecosistema” su Radio Vaticana Italia, per commentare alcuni risultati evidenziati dallo studio. Di seguito le sue risposte alle domande da studio del conduttore Luca Collodi e dei giornalisti di earthday.it.

 

Secondo le previsioni, a livello mondiale, solo il 18% degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile  potranno essere centrati entro la scadenza dell’Agenda 2030. Ha ancora senso seguirla, o dovrebbe essere rimodulata con nuovi obiettivi meno ambiziosi?

In realtà ha ancora senso. Anzi ha ancora più senso in base ai dati sulle guerre, sui morti, che dimostrano come lo sviluppo non esiste se non è sostenibile. Comunque, nel 2027 è prevista la revisione degli obiettivi, pensando al post 2030.

Come si sta comportando l’Italia sul tema dell’acqua? 

Da questo punto di vista, oggi il Paese è in una condizione peggiore rispetto al 2010; e anzi c’è stato un ulteriore peggioramento nel 2024. Con il PNRR si erano presi degli impegni sulle perdite idriche che, ricordiamo, sono nell’ordine del 42% lungo i nostri vecchissimi acquedotti. Lo dico da ex ministro responsabile delle infrastrutture del Governo Draghi, perché abbiamo finalmente fatto un forte investimento che sta continuando. Il problema è che nel frattempo il mondo cambia. Le temperature aumentano. Abbiamo fenomeni di piogge violentissime che però non vengono catturate dalle falde acquifere. Quindi, soprattutto nel mezzogiorno, abbiamo una drammatica situazione di siccità e dobbiamo continuare a investire in questa direzione, altrimenti ci troveremo in grave difficoltà. Ricordiamo che l’Italia si riscalda più dell’Europa, rispetto ai livelli pre-industriali; e l’Europa si riscalda più del mondo. L’Europa l’ha già superato da cinque anni il famoso 2% di aumento delle temperature rispetto ai livelli pre-industriali, fissato a Parigi nel 2015. 

Un’altra criticità sono gli ecosistemi terrestri che non sono abbastanza tutelati; con un consumo di suolo che non tende a fermarsi. Come risulta dal rapporto il territorio italiano?

L’Obiettivo 15, “Qualità degli ecosistemi terrestri”, è uno di quelli in continuo peggioramento negli ultimi dieci anni. La grave situazione non è solo italiana, perché questo dato si registra anche per l’intera Europa. Ciò non riguarda soltanto la mancanza di un giardinetto intorno a noi. Vuol dire, per esempio, che le rese agricole stanno peggiorando drasticamente proprio a causa del progressivo impoverimento dei suoli. Certamente abbiamo leggermente aumentato la difesa delle aree protette; e dall’anno prossimo, finalmente, grazie a una normativa europea – la cosiddetta Nature Restoration Law (ovvero il restauro della natura) – l’Italia dovrebbe cominciare a investire per arrivare almeno al 40% di ecosistemi degradati rinnovati. Peccato che nel bilancio dell’anno scorso e per i prossimi anni non c’è un solo euro. Neanche nella Legge di Bilancio in discussione in Parlamento c’è un euro per compiere ciò che l’Europa si è impegnata a fare con una legge continentale. Perciò il rischio è di non fare quello che dovremmo, ed anzi di pagare anche delle multe. Oltre al danno la beffa. 

Un altro ambito che non esce bene dal vostro rapporto è la sostenibilità delle città: il luogo in cui vive la maggior parte di noi. Qual è la situazione?

Anche in questo caso, purtroppo, l’Italia è in una situazione peggiore rispetto al 2010; ma questo è un fenomeno che si registra anche in altre parti d’Europa; perché le città non furono disegnate per la quantità di popolazione che abbiamo adesso. Il fenomeno di spostamento dalle aree rurali verso quelle urbane non è gestito adeguatamente. Ricordiamo che in Europa ci sono ogni anno 300.000 morti premature per malattie legate all’inquinamento. In Italia ne abbiamo circa 70.000. Molte di queste morti riguardano persone che vivono in periferia e non hanno la possibilità di difendersi dall’inquinamento: per esempio quello dei sistemi di riscaldamento o della mobilità. 

Dunque abbiamo un problema molto serio che si aggiunge a una debolezza istituzionale del nostro paese. Le risulta che esista un ministero delle città, o una strategia nazionale per le città (mentre abbiamo quella delle aree interne)? I sindaci sono lasciati a loro stessi. Molti stanno facendo grandi sforzi in questa direzione: ricordiamo che nove città italiane sono parte dell’iniziativa europea delle cento città che vogliono diventare a emissioni zero entro il 2030 (Bergamo, Bologna, Firenze, Milano, Padova, Parma, Prato, Roma e Torino, ndr.); ma non ci sono i fondi: non tanto e non solo per i nuovi trasporti (il PNRR ha investito molto in questa direzione); ma una volta acquisiti i tram, fatte le metropolitane, e arrivati nuovi autobus (tra l’altro ecologici), se non c’è la spesa corrente non avremo i conducenti. Oggi (6 novembre, ndr.) i comuni in audizione al Senato – dove è in discussione la Legge di Bilancio – hanno fatto presente che la legge taglierà proprio la spesa corrente; e di nuovo il danno oltre la beffa: avremo magari dei nuovi mezzi di trasporto, ma non avremo chi li guiderà. 

Un’altra normativa europea – la cosiddetta Direttiva Case Green – prevede che le case debbano essere efficientate dal punto di vista energetico, per ridurre non solo l’inquinamento ma anche, e soprattutto, il costo dell’energia. Di nuovo: dopo tutte le discussioni – anche politiche – molto accese su queste tematiche, nella Legge di Bilancio non c’è un euro per promuovere questo tipo di investimenti. Non c’è un piano. 

Molto spesso in Italia ce la prendiamo con l’Europa, ma poi in realtà non investiamo sulla nostra salute. Tenga presente che quasi l’80% delle leggi a difesa dell’ambiente che abbiamo in Italia sono di fonte europea. se non ci fosse l’Unione Europea, la condizione del nostro ambiente sarebbe ancora più degradata. 

Qualche buona notizia arriva dal settore delle energie rinnovabili. 

Effettivamente, in questa direzione ‘Italia sta facendo quello che doveva. Ma di nuovo: c’è un forte rallentamento. Il problema è molto complesso, ovviamente; anche perché la competenza sull’energia è concorrente tra le regioni e lo Stato. Lo Stato non può dettare semplicemente quello che bisogna fare, ma può dettare una serie di regole generali: per esempio la definizione delle aree idonee dove impiantare le rinnovabili. Vengono fissati dei principi generali, poi si lascia [l’individuazione] alle regioni. Che cos’è successo? La Sardegna ha detto che il 99% del proprio territorio non è adatto alle rinnovabili, e altre regioni hanno fatto qualcosa di simile. Il Tar del Lazio e la Corte Costituzionale sono dovuti intervenire dicendo: caro Governo, abbiamo assunto degli impegni internazionali e tu fai dei decreti che non producono i risultati… devi rivederli! Esattamente ciò che sta accadendo: il Governo deve rifare il decreto sulle aree idonee.

Questo non è soltanto un tema di sicurezza della vita di tutti noi, ma anche di sicurezza nazionale. Con tutte le tensioni internazionali, finalmente, per una volta, grazie alla disponibilità di sole e vento, avremmo la possibilità di diventare quasi autonomi sul piano energetico. Vorrebbe dire abbassare di nuovo le bollette per le famiglie, per le imprese, e non dover dipendere dalle decisioni di qualcun altro: sia esso Vladimir Putin o chiunque colga l’occasione delle crisi internazionali per aumentare i prezzi. È veramente l’unica scelta giusta; e la tecnologia oggi ci consentirebbe di farlo. Non si capisce perché non si procede a una maggiore velocità, come per esempio ha fatto la Spagna.

Qualche altra buona notizia ci arriva dal 12° Obiettivo: “Consumo e produzione responsabile”.  È quello con i progressi migliori: la raccolta differenziata, il riciclo, il riuso dei materiali. Qual è il quadro?

Su questo l’Italia ha raggiunto un livello di eccellenza europea e internazionale. La raccolta differenziata, il riuso dei materiali, la produzione delle cosiddette materie prime e seconde – che derivano proprio dal riuso di scarti – sono pratiche “storiche”: pensiamo a Prato, per i tessuti. Una pratica su cui le nostre imprese hanno costruito veramente delle posizioni di leadership e di competitività a livello internazionale. Bisogna però proseguire, perché anche in questo caso ci siamo dati degli obiettivi molto forti. Ad esempio, uno studio dell’Asvis del 2025 mostra che, come avviene in altri paesi, accanto al riciclo delle bottiglie abbiamo bisogno di incentivare il riuso delle bottiglie; altrimenti non raggiungeremo l’obiettivo del 90% entro il 2030. Perciò anche qui ci sono degli spazi di miglioramento. 

La buona notizia è che – contrariamente a ciò che alcuni dicono sistematicamente, senza citare un solo dato – questo settore dimostra che le imprese italiane che stanno investendo in sostenibilità aumentano la competitività, la produttività e le esportazioni. Cito dei dati dell’Istat: le imprese manifatturiere con oltre dieci addetti che nel 2016-2018 hanno investito in sostenibilità, nel triennio successivo hanno visto crescere il loro fatturato di oltre il 16% in più delle altre, a parità di condizioni. Quindi conviene. Certo, servono investimenti; ma gli investimenti si fanno per avere dei rendimenti successivi. Che la sostenibilità sia un costo è semplicemente una bugia, o una cattiva interpretazione dei dati: perché la sostenibilità è un investimento sul futuro. 

Le imprese italiane sono all’avanguardia, e gli italiani e le italiane hanno fatto un enorme sforzo culturale ad andare in questa direzione. Però attenzione: non si può pensare a cosa fare fa con un rifiuto “dopo” averlo prodotto; bisogna andare nella direzione del cosiddetto eco design. Cioè: quando le imprese realizzano un prodotto, devono già pensare al riuso di quel prodotto. Qui purtroppo c’è tanto greenwashing. Guardando le pubblicità sembra che sia tutto sostenibile. Purtroppo non è così. La buona notizia è che nei giorni scorsi il Governo ha approvato il decreto che porta nella legislazione Italia la direttiva europea contro il greenwashing (Direttiva UE 2024/825, ndr). Speriamo che con questa nuova direttiva le imprese dichiarino il vero e siano spinte a fare le cose giuste.

Pochi giorni fa il Parlamento in questi ha approvato una legge che impone a tutte le future proposte di legge una Valutazione di Impatto Generazionale. Qual è l’importanza di questa nuova norma?

Mi faccia tornare indietro al 2016. Quando nacque, Asvis propose due cambiamenti forti. Il primo era una modifica – per la prima volta nella storia repubblicana – ai principi fondamentali della Costituzione Italiana. Avvenne nel 2022, pochi giorni prima dell’invasione russa dell’Ucraina e quindi l’opinione pubblica non ci pose grande attenzione. Il testo dice che la Repubblica – quindi non lo Stato ma tutti noi – “tutela l’ambiente la biodiversità e gli ecosistemi anche nell’interesse delle future generazioni” (Articolo 9, ndr.). Entrarono nella Costituzione la parola “futuro” e il concetto dell’interesse delle future generazioni, che è al centro dell’idea di sostenibilità; perché si dice “sostenibile” quello sviluppo che consente alla generazione attuale di soddisfare i propri bisogni, senza impedire alle generazioni successive di fare altrettanto. 

Una volta cambiata la Costituzione bisognava cambiare il modo di fare le leggi. Dunque Asvis ha proposto –  in particolare alla Ministra per le Riforme istituzionali Casellati – di introdurre questo aspetto che, come ha ricordato, è diventato legge la scorsa settimana. Prima di presentare e discutere nuove leggi in Parlamento, il Governo deve farne una valutazione dell’impatto, sociale e ambientale, sui giovani di oggi e sulle future generazioni. Insomma – se posso permettermi – abbiamo portato la Laudato Si’ nella Costituzione Italiana; e sono molto lieto di aver avuto casualmente l’occasione, a dicembre dell’anno scorso, di dirlo a Papa Francesco.

 

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