Con Antonio Ferraro, Presidente di Gruppo Ferraro S.p.A., un punto sulla transizione ecologica del settore delle costruzioni.
Nel momento in cui sostenibilità e rigenerazione urbana sono temi al centro del dibattito, il settore delle costruzioni si trova di fronte a sfide complesse e stimolanti. Con Antonio Ferraro, Presidente di Gruppo Ferraro S.p.A., abbiamo esplorato la visione di un gruppo impegnato a conciliare sviluppo economico, innovazione e impatto sociale attraverso un approccio integrato e responsabile. Con l’introduzione di un comitato scientifico presieduto da Enrico Giovannini, il gruppo sta intraprendendo un percorso volto a diffondere la cultura della sostenibilità, promuovere soluzioni rispettose dell’ambiente e rigenerare il patrimonio urbano esistente. L’obiettivo è quello di ottimizzare le risorse, bilanciando le esigenze di crescita con la tutela del territorio e abbracciando le nuove tecnologie come acceleratori di un cambiamento fondamentale. Una visione che non solo mira a costruire infrastrutture, ma a creare valore per le comunità e per le generazioni future.
Recentemente il gruppo si è dotato di un comitato scientifico presieduto da Enrico Giovannini. È un organo inusuale per una realtà che opera in questo campo. Come mai questa scelta?
È vero, è una scelta abbastanza unica per il nostro settore. Ci crediamo molto perché siamo fermamente convinti che genererà valore per il Gruppo e soprattutto per i territori e le comunità dove opera il Gruppo. È una scelta che nasce dalla nostra vicinanza storica ad Entopan, che ci ha scelto come “azienda faro” nel settore delle costruzioni per interpretare la sua visione di innovazione armonica, che mette al centro gli esseri umani e i bisogni delle comunità.
Nell’ambito di questa strategia ha preso corpo il nostro Comitato di indirizzo strategico. Siamo onorati possa essere guidato da Enrico Giovannini, e che possa lavorare anche in concerto con quello di Entopan presieduto da Francesco Profumo, con l’obiettivo di diffondere e accrescere la cultura e la realizzazione di infrastrutture sostenibili coerentemente ai principi del modello “armonico”, che coniuga crescita economica, impatto sociale e sviluppo culturale in un’unica traiettoria sostenibile e che Ferraro ha scelto di fare proprio.
Fanno parte del Comitato anche Pierluigi Sassi, presidente di Earth Day Italia e Impatta, Francesco Cicione, founder di Entopan e Presidente Fondatore di Harmonic Innovation Group, e Antonio Viscomi, Vicepresidente di Entopan e Professore ordinario di Diritto del Lavoro, Università Magna Grecia di Catanzaro.
Quali sono i principali criteri che vengono adottati per garantire la sostenibilità ambientale nei progetti di costruzione?
Per noi la sostenibilità ambientale è parte integrante della nostra visione di impresa. Adottiamo un approccio sistemico che abbraccia l’intero ciclo di vita dei nostri progetti, dalla progettazione alla costruzione fino alla gestione.
Concretamente, implementiamo diversi criteri chiave: innanzitutto, utilizziamo materiali ecocompatibili e, dove possibile, di provenienza locale per ridurre l’impatto del trasporto. Nei nostri cantieri, come quello del Polo scolastico di Cascina Merlata, abbiamo introdotto soluzioni tecniche avanzate di mitigazione e nebulizzazione che rendono il cantiere meno impattante sul territorio circostante.
Grande attenzione viene posta all’efficienza energetica utilizzando le tecnologie e soluzioni adeguate al progetto più all’avanguardia
Ma la sostenibilità ambientale non è solo una questione tecnica: collaboriamo con tutti gli attori della filiera, dai progettisti ai fornitori, per garantire che l’intero processo costruttivo rispetti i più alti standard ambientali. Il nostro Comitato di indirizzo strategico sta proprio lavorando per elevare ulteriormente questi criteri e tradurre i grandi obiettivi dell’Agenda 2030 in scelte industriali concrete.
Per arrestare il consumo di suolo dovremmo cercare di ottimizzare il patrimonio immobiliare pubblico che nel nostro Paese è enorme, spesso inutilizzato e comunque piuttosto vecchio. In termini ambientali quando è più conveniente efficientare un edificio e quando invece ricostruirlo da zero?
È una domanda cruciale, che tocca uno dei nodi strategici più rilevanti per il futuro del nostro Paese: come rigenerare senza consumare, come costruire senza sottrarre. La risposta, a nostro avviso, non può essere univoca o ideologica. Deve invece basarsi su un’analisi puntuale, caso per caso, che tenga conto di molteplici fattori: strutturali, ambientali, energetici ma anche – e sempre più – sociali e culturali. In linea generale, quando le condizioni lo permettono, la riqualificazione rappresenta una scelta sostenibile e intelligente, che consente di valorizzare il patrimonio esistente senza consumare nuovo suolo.
Un esempio concreto è il progetto promosso da Roma Capitale che stiamo realizzando in via Sebastiano Satta, nel quartiere di Casal Bruciato. L’intervento riguarda due importanti edifici di edilizia popolare, per un totale di 280 alloggi, ed è finanziato attraverso i fondi del PNRR. Stiamo realizzando un’ampia operazione di efficientamento energetico: installazione di pannelli fotovoltaici, isolamento termico, sostituzione degli infissi, rinnovamento completo degli impianti di riscaldamento. Il risultato atteso non è solo una drastica riduzione dei consumi energetici, ma anche un miglioramento tangibile della qualità dell’abitare e del benessere quotidiano per centinaia di famiglie.
In casi come questo, l’intervento non è solo edilizio, ma anche urbano e profondamente sociale: riqualificare un edificio significa infatti trasformare il modo in cui viene percepito e vissuto un intero quartiere, contribuendo a restituire valore, decoro e opportunità a contesti spesso dimenticati. Per questo crediamo che ogni intervento vada valutato in una logica integrata, capace di tenere insieme sostenibilità ambientale, efficienza economica e impatto sociale.
Il nostro paese, soprattutto al Sud, soffre di una carenza di infrastrutture. Come si bilanciano tutela del territorio ed esigenza di mantenersi competitivi sullo scenario internazionale?
Come imprenditore che, partendo dalla Calabria, ha costruito un’azienda oggi attiva in tutta Italia, vivo quotidianamente questa sfida. La carenza infrastrutturale del Mezzogiorno è un dato di fatto, ma la soluzione non può essere uno sviluppo indiscriminato a discapito del territorio. Serve cura, visione di lungo periodo e capacità di mediazione. Una crescita sostenibile non solo è possibile ma è doverosa, una responsabilità verso le generazioni future. È anche per questo che abbiamo sposato la visione di innovazione armonica, che fa proprio della necessità di pensare e agire oggi sulla base di un nuovo patto intergenerazionale uno dei suoi capisaldi. Partendo da questo penso che siano due le componenti cruciali per raggiungere il giusto equilibrio: il primo è che serve collaborazione.
Da soli non si va da nessuna parte. Per questo riteniamo chiave il lavoro che ogni giorno facciamo insieme a tutti i soggetti della filiera delle costruzioni con cui condividiamo know how ed esperienze. Il secondo è che serve alimentare una cultura diffusa, anche oltre il comparto di chi è chiamato a costruire le infrastrutture, dalle istituzioni centrali e locali fino alla finanza e oltre. In quest’ottica lavoreremo con il Comitato di indirizzo strategico guidato da Enrico Giovannini.
Quali sono le sfide che nei prossimi anni investiranno il settore? Che ruolo giocheranno le nuove tecnologie?
Credo che la sfida più significativa nel breve sia quella di mantenere la rotta e il focus sulla sostenibilità nonostante quella che sembra essere una drastica inversione di rotta che arriva da oltre oceano. È per questo che diventa ancora più urgente sviluppare una cultura diffusa. In questo senso le tecnologie saranno determinanti nella misura in cui, dimostrando rapidamente i vantaggi economici e sociali che un pensiero e un approccio sostenibili possono generare , saranno esse stesse acceleratori di questa nuova cultura.