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Etichette di benessere animale sui prodotti alimentari: una petizione di CIWF e Legambiente contro quelle fuorvianti

Le etichette di benessere animale non danno informazioni sulla forma di allevamento che è alle spalle dei prodotti alimentari di origine animale, senza distinguere gli allevamenti più rispettosi della dignità degli animali coinvolti rispetto a quelli che non lo sono: una petizione vuole eliminare questa confusione

Le associazioni CIWF (Compassion in World Farming) e Legambiente lanciano una petizione contro le etichette ingannevoli sul benessere animale nel settore della produzione agricola. La petizione, infatti, è indirizzata al Ministro delle Politiche Agricole Centinaio e al Ministro della Salute Grillo.

Sempre più persone desiderano acquistare prodotti alimentari di origine animale di cui si conosca la provenienza, e questo riguarda anche il tipo di vita che gli animali stessi hanno condotto negli allevamenti. Aumentano, infatti, sensibilità e attenzione dei consumatori, ragion per cui per sempre più acquirenti fa differenza comprare carne, uova o latte provenienti da allevamento all’aperto, in gabbia o al chiuso.

Tuttavia, sui prodotti di origine animale è facile trovare etichette con diciture di ‘benessere animale’, ‘100% naturale’, ‘fresco di allevamento’ e simili, che fanno intendere che per gli animali allevati per produrre quei cibi vi sia stata una vita dignitosa. Il punto è che con la dicitura ‘benessere animale’ potrebbero essere intesi allevamenti all’aperto, in gabbia, al chiuso, con animali allevati alla posta (ossia che vivono tutta la loro vita legati) o a stabulazione libera (cioè liberi di muoversi ma solo in stalla). È evidente quanto la definizione di benessere sia, in questo caso, ambigua e confusionaria.

Nella nota di Legambiente si fa l’esempio dell’etichetta “benessere animale in allevamento” del CreNBA (Centro di Referenza Nazionale per il Benessere Animale). Si legge infatti che questo protocollo è utilizzato per carne bovina e latte vaccino, indipendentemente dalla forma di allevamento che è alle spalle di questi animali. “Un esempio eclatante, che purtroppo proviene da un ente governativo, in cui un’etichetta può diventare fuorviante, non dando nessuna informazione sul metodo d’allevamento” specifica la nota.

Per questo, Annamaria Pisapia, Direttrice di CIWF Italia Onlus, e Antonino Morabito, Responsabile Benessere Animale di Legambiente, affermano: “Abbiamo deciso lanciare una petizione per chiedere ai ministri della Salute e dell’Agricoltura di rimediare al più presto a questa situazione, che produce un grave danno sia ai consumatori che agli allevatori medio-piccoli più virtuosi. Per fare chiarezza, chiediamo che venga introdotta a livello nazionale un’etichettatura volontaria che indichi il metodo di allevamento. Siamo chiari, non può esistere benessere animale negli allevamenti intensivi, sistemi crudeli in cui gli animali vengono privati delle più elementari libertà – a cominciare da quella fondamentale di esprimere i propri comportamenti naturali. Eppure circolano già in Italia etichette con claim ‘benessere animale’ su prodotti da allevamenti intensivi, basate su certificazioni che non tengono in conto il metodo di allevamento. Ciò rappresenta una china pericolosa, volta a mantenere la zootecnia intensiva nascosta agli occhi dei consumatori italiani, sempre più attenti alle condizioni di vita, seppur breve, degli animali allevati a scopo alimentare”.

Il link della petizione è visionabile a questo indirizzo.

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