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Economia Interviste

L’eolico italiano morde il freno: imperativo raddoppiare la produzione e rinnovare gli impianti

L’impatto visivo vale più di quello sulla salute? Una pala di nuova generazione equivale a quattro di quelle vecchie, ma occorrono 5 anni per le autorizzazioni. L’ANEV chiede al Governo di rimuovere gli ostacoli burocratici al settore eolico fermo al palo, con impianti ormai a fine vita e nuove tecnologie per l’off shore in rampa di lancio.

Secondo gli ultimi dati, il 15% dell’energia elettrica consumata in Europa proviene da impianti eolici. Il vento è tra le fonti rinnovabili più sostenibili e, nel nostro continente, sono stati annunciati investimenti per 19 miliardi di euro per nuovi impianti. Gli impianti eolici italiani, attualmente, sono circa 5600, per oltre due terzi concentrati in Basilicata, Puglia, Sicilia e Sardegna.

L’Italia è al quinto posto per numero di impianti; ma sta crescendo meno di altre nazioni che, a differenza del nostro paese, stanno scegliendo sempre più l’opzione offshore: l’installazione di impianti tecnologicamente avanzati in mare, dove i venti sono tendenzialmente più forti e regolari. Per conoscere meglio questo settore cruciale per la transizione verso fonti energetiche alternative a quelle fossili, abbiamo contattato Simone Togni, presidente di ANEV – Associazione Nazionale Energia del Vento.

 

Secondo i dati degli ultimi dati del Gestore dei Servizi Energetici, che fa da riferimento per il settore, l’Italia non è messa male nella produzione di energia dalle fonti rinnovabili. Ci può fare una fotografia della produzione dell’eolico in Italia? Ad esempio la distribuzione geografica: dove si produce di più e dove di meno?

Oggi in Italia abbiamo una produzione elettrica da fonte rinnovabile abbastanza importante. Per quanto riguarda l’eolico siamo arrivati a 10 GW di potenza installata che consentono di produrre energia elettrica per soddisfare i consumi domestici del 7% circa della popolazione nazionale. È un dato interessante, che inizia ad essere anche rilevante. Tuttavia gli obiettivi che ci vengono dati (dall’Unione Europea, dall’Agenda 2030 dell’ONU e dal Patto di Parigi, nda) ci indicano: per il 2030 la necessità di raddoppiare questa produzione, solo per il settore eolico, quindi di arrivare a coprire almeno il 12% dei consumi domestici nel nostro paese; e al 2050 dovremo arrivare a questo decarbonizzazione totale della produzione elettrica che ci viene chiesta dalle esigenze di carattere climatico che purtroppo stiamo vivendo. Dal punto di vista del potenziale del vento nel nostro paese, questo è un percorso assolutamente fattibile, in maniera tranquilla. L’ANEV stima 18.000 MW realizzabili, quindi quasi 20 GW. La distribuzione sul nostro territorio (degli impianti realizzabili, nda.) ovviamente seguirà le risorse di vento che esistono nel nostro paese, che sono principalmente rinvenibili nelle aree dell’appennino centro-meridionale e sulle isole. Quindi si andranno a realizzare gli impianti in queste aree perché è qui che c’è più vento.

Più o meno è quello che già succede, perché dando un’occhiata agli impianti attivi la gran parte, due terzi, si trovano in Puglia, Sardegna, Sicilia e Basilicata. C’è potenziale anche al nord?

Il potenziale c’è. Tuttavia all’orografia delle zone montane del nord Italia è difficilmente compatibile con la realizzazione di questi impianti. Parliamo di rilievi perché più si sale, più la velocità del vento aumenta, [ed è più adatta] rispetto allo sfruttamento elettrico; in più, tutta la parte del nord padano non ha grandi risorse di vento. Quindi noi consideriamo che lo svolgimento di questo percorso di decarbonizzazione continuerà a vedere principalmente interessate le aree centro meridionali. È naturale che si vada dove c’è più vento, e quindi nella parte centro-meridionale nel nostro paese, perché l’unico ritorno economico dato dalla fonte eolica è quello della produzione elettrica, e quindi dell’energia elettrica effettivamente immessa in rete.

Poi c’è la questione dell’eolico off shore, cioè in mare. Ultimamente sono usciti dei dati di istituti di ricerca europei che hanno evidenziato come in Italia questo settore cresca poco o sia addirittura assente. In che cosa consiste l’eolico offshore e perché in Italia è ancora al palo?

L’eolico off-shore è una frontiera dello sfruttamento dell’energia del vento che si sta sempre più affermando nel mondo. Lo sfruttamento del vento sul mare è estremamente più vantaggioso, in quanto manca quella “rugosità”, la complessità del territorio che invece rallenta il vento sulla terraferma. Sul mare invece, per quanto vi possano essere delle onde, gli ostacoli che trova il vento sono assolutamente marginali. Quindi il vento teso riesce a produrre molta energia elettrica. Questo però deve accoppiarsi ad altri fattori. In particolare alla profondità del mare, perché questi impianti devono comunque essere ancorati al fondo e poi avere dei cavi che portano l’energia elettrica prodotta sulla terraferma, dove viene utilizzata. Purtroppo nel Mediterraneo queste condizioni non sono molto presenti e dobbiamo notare che, in maniera ancor più “antipatica”, anche dove sono presenti, la farraginosità della burocrazia del nostro paese non sta consentendo di sviluppare quelle iniziative che anche nel Mediterraneo si potrebbero fare. Oggi tuttavia vi sono delle tecnologie innovative – tra l’altro alcune di questi brevetti sono di aziende italiane – che stanno cercando di applicare dei meccanismi flottanti, delle piattaforme galleggianti, sulle quali si possono installare questi aerogeneratori. Quando questa tecnologia sarà matura – e pensiamo che non manchi ancora molto – lo sfruttamento degli impianti offshore anche nel Mar Mediterraneo si potrà fare in maniera più cospicua. A quel punto sarà indispensabile – cosa che come ANEV non manchiamo occasione di ripetere – che la semplificazione amministrativa anche per gli impianti offshore venga effettuata in maniera assolutamente efficiente.

Andiamo un po’ più a fondo di questo nodo burocratico-autorizzativo. Ultimamente lei ha reso noto che 40 progetti di impianti eolici su 40 sono stati bocciati da parte del Ministero dei Beni Culturali; e lei si è appellato al Ministro della Pubblica Amministrazione che ha fatto un’apertura a future autorizzazioni più veloci. È una questione di burocrazia lenta o di autorizzazioni fattive: cioè di impatto ambientale e impatto culturale?

Io penso che a questo punto l’aspetto culturale debba essere prevalente rispetto alle altre considerazioni. Noi, come associazione, abbiamo un’anima ambientalista molto forte: riteniamo assolutamente indispensabili la tutela del creato, del paesaggio, dell’ambiente in ogni sua declinazione. Per questo abbiamo sempre avuto un approccio comparatistico, che secondo noi è imprescindibile se si vuole fare un’analisi seria dei vari impatti. Partendo dall’assunto che il nostro obiettivo deve essere la vita dell’uomo sulla Terra nel miglior modo possibile, questa non può prescindere dagli aspetti della salute umana e dello sviluppo sociale che ognuno di noi deve avere. Per far questo è necessario avere quantità di energia elettrica, e di energia in generale, disponibile in maniera sufficiente. Detto questo è ovvio che dobbiamo capire qual è l’energia elettrica migliore che possiamo avere per consentire la vita del genere umano sulla terra. È evidente che se andiamo a comparare gli impatti di un’energia rinnovabile come l’eolico rispetto all’energia fossile, come può essere il carbone, il petrolio ma anche il gas, vediamo che certamente ognuna di queste tecnologie ha degli impatti. In particolare, quelli prevalenti per le fonti fossili sono impatti derivanti dalle emissioni di inquinanti in atmosfera, oltre che di agenti climalteranti (che dobbiamo sempre separare come aspetti). Gli inquinanti sono quelli che poi respiriamo, e che purtroppo causano decine di migliaia di morti all’anno; e gli aspetti relativi alla CO2, quindi ai gas climalteranti, stanno provocando quell’emergenza climatica che a sua volta porta devastazioni e morte. In confronto a questi impatti, riteniamo che quelli paesaggistici, visivi e, ricordiamolo, temporanei di un impianto eolico, non possano che essere valutati secondo un criterio oggettivo e comparatistico. Quindi è corretto che le sovrintendenze segnalino che questi impianti sono visibili – e in aree importanti di pregio turistico e paesaggistico debbano essere inseriti con tutte le accortezze progettuali necessarie e indispensabili – ma non possiamo comparare la morte di decine di migliaia di persone nel nostro paese (dati forniti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità) rispetto a vent’anni di interferenza visiva all’interno di un’area che non abbia dei vincoli particolari. Quindi noi stiamo chiedendo con forza al Governo di definire una cabina di regia che consenta di raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione indispensabili a salvare il nostro pianeta e, all’interno di questa, andare a definire le priorità. Tra quelle priorità devono essere individuati dei meccanismi di semplificazione che consentano di realizzare quegli impianti.

Il parco eolico italiano ha avuto un boom a cavallo del millennio, dagli anni 2000 in poi. Adesso quegli impianti stanno invecchiando. Qual è la situazione? C’è bisogno di un grande rinnovamento, anche tecnologico, e dal punto di vista dell’impatto visivo e ambientale?

Assolutamente sì. A cavallo degli anni 2000 sono stati realizzati molti impianti, l’Italia per molti anni è stata leader a livello europeo per lo sviluppo dell’energia eolica. Dopo di ché, purtroppo, i pubblici decisori hanno rallentato la corsa verso questo percorso di decarbonizzazione. Forse anche rallentati da una mancanza di attenzione sulle tematiche ambientali, che oggi mi sembra stiano tornando. Ciò ha comportato che oggi, dopo vent’anni, abbiamo molti impianti arrivati alla fine della vita utile, e ci troviamo di fronte alla decisione di cosa fare di questi impianti. A livello europeo ci viene chiesto di mantenerli, perché il raggiungimento degli obiettivi, il raddoppio al 2030 dell’energia eolica prodotta, passa necessariamente da due strade: la prima è mantenere in esercizio efficiente gli impianti che oggi producono energia; la seconda è realizzarne altrettanti nuovi. Oggi per fare un impianto eolico ex novo purtroppo ci vogliono cinque anni di sviluppo autorizzativo, perché la burocrazia è lentissima. Questo non è accettabile. Tantomeno è accettabile che lo stesso tempo, cinque anni, venga richiesto per rinnovare l’autorizzazione di un impianto già esistente. Quindi noi chiediamo una fortissima opera di semplificazione, che consenta agli impianti esistenti di poter essere rinnovati con tecnologie moderne; che tra l’altro, oltre a una riduzione dell’impatto [ambientale], consentirebbero anche un incremento della produzione: perché una nuova turbina eolica ne sostituisce quattro di vecchia generazione. Per far questo chiediamo che venga definito con urgenza un percorso prioritario, che consenta a quegli impianti di poter essere rinnovati.

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