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Interviste Società

“Suoli italiani trattati male”. Una legge per tutela e gestione sostenibile.

Un collettivo di esperti e studiosi del suolo propone una legge quadro per la gestione sostenibile del suolo nazionale. EarthDay.it intervista Fabio Terribile, docente di Pedologia dell’Università di Napoli Federico II.

L’ultimo rapporto ISPRA sul consumo di suolo in Italia, contiene un capitolo dedicato anche al “degrado” del suolo, di cui il consumo per così dire “volontario” è solo una delle cause. Secondo questi dati circa il 70% del suolo italiano è considerato “stabile” mentre oltre il 21% è descritto come “degradato”. Per il suolo “agricolo” la quota del degrado sale a due terzi. Durante la recente conferenza stampa “Ritorno al suolo: dagli strumenti della Ricerca all’impegno delle Istituzioni” – organizzata dalla IX Commissione del Senato (Industria, commercio, turismo, agricoltura e produzione agroalimentare) in collaborazione con il CREA (Consiglio per la Ricerca in Agricoltura e l’Analisi dell’Economia Agraria) – lo stato dei suoli è stato al centro di molti interventi.

È emerso che la sostanza organica dei terreni coltivati del paese è diminuita del 2-3% dal dopoguerra ad oggi. Può sembrare un danno minimo ma uno squilibrio nella composizione del suolo ha ripercussioni sull’ecosistema che ci cresce sopra e sotto, con conseguenze negative su fauna, flora, potenzialità agricole (a livello globale è stimato un calo di produzione agricola del 10-15%), dissesto idrogeologico, possibilità di sequestro della CO2 e così via. Il CREA ha presentato nell’occasione il progetto per una nuova “Carta dei suoli d’Italia in scala 1:100.000” – di cui abbiamo parlato in questa intervista – che nelle intenzioni fornirà ad agricoltori ed esperti di suolo uno strumento di riferimento per conoscere la composizione dei territori con maggiore dettaglio rispetto ad ora.

Nella stessa conferenza si è parlato diffusamente della “Legge Quadro per la Gestione Sostenibile dei Suoli Italiani”, una proposta legislativa giacente in Parlamento che intende riordinare il settore. Ne abbiamo parlato con uno dei proponenti firmatari: Fabio Terribile docente di Pedologia (lo studio dei suoli) dell’Università di Napoli Federico II.

Professore, come stanno i suoli italiani in generale?
Sono trattati molto male. Non sempre sono molto resilienti, e bisogna prendersene cura. I suoli variano, nello spazio: come per le persone, ce ne sono alcuni molto resilienti che, nonostante siano trattati male, riescono a resistere agli stress e difendersi; altri che invece abbiamo perso definitivamente, o comunque sono in grande difficoltà.

Quali abbiamo perso definitivamente?
Ad esempio abbiamo perso molti suoli facilmente erodibili, tutti in ambienti montani. I suoli facilmente erodibili sono spesso quelli più fertili: ovvero hanno proprietà chimiche di grande fertilità. Nello specifico i suoli andici (tipologia di suolo in gran parte vulcanici, ndr.) hanno delle proprietà chimico-fisiche uniche, ma sono molto suscettibili all’erosione: se trattati male vanno via per erosione con grande facilità. Ovviamente possiamo perdere per sempre anche i suoli migliori, a maggiore resilienza, come nel caso del consumo di suolo: in questo caso non c’è resilienza che tenga di fronte all’aggressione.

A parte il devastante consumo di suolo, quali errori sono stati fatti in passato?
Un grandissimo errore è una gestione del suolo troppo frammentata tra tante autorità pubbliche, ognuna col proprio approccio, che creano entropia nel sistema. È difficile gestire una risorsa con un quadro conoscitivo e gestionale lacunoso. Perciò il primo problema è fare ordine in tutto questo.

Dal punto di vista pratico quali errori abbiamo fatto?
L’intensificazione colturale in ambiente agricolo, a volte ha avuto un impatto troppo forte. Parlando di struttura del suolo: l’impatto delle macchine agricole, senza considerare la capacità del suolo di sopportarne il peso, determina un abbassamento di porosità; e la vita del suolo dipende dai pori come la vita di una città, dipende da strade grandi, piccole e medie. I pori e la loro interconnessione sono fondamentali. Il solo utilizzo di macchine agricole pesanti crea una compressione e una perdita di porosità. Poi c’è stata la chimica, ovviamente: fatta senza considerare lo specificità dei singoli suoli, che ha causato un impatto molto forte. I cantieri forestali sono spesso fortemente impattanti: nessuno lo dice ma anche là c’è un problema di compattamento ed erosione del suolo. Le foreste sono una cosa buona e giusta, ma bisogna saperle gestire, come bisogna sapere gestire i campi agricoli. Per farlo occorre conoscere ciò che si ha di fronte: come per gli individui, ogni suolo è diverso dall’altro: dobbiamo capire per ognuno come va gestito; ed oggi abbiamo tanti strumenti per poterli gestire in maniera ottimizzata.

Questo ci porta a parlare della “Legge Quadro per la Gestione Sostenibile dei Suoli Italiani”. Chi l’ha voluta e a che punto è l’iter?
La storia è molto lunga: addirittura iniziò con una lettera all’allora Presidente del Consiglio Monti. Di fronte all’inattività degli organi competenti, noi scienziati esperti di suolo, con i colleghi di società scientifiche che si interessano delle scienze agrarie, abbiamo costruito una proposta. Ci siamo detti: proviamoci! L’abbiamo elaborata e presentata già nel 2013. Poi è stata ripresentata nel 2022. La proposta quindi è nata dal mondo scientifico, però il mondo della politica l’ha fatta propria: sono diventati disegni di legge, incardinati tutte e due volte nella Commissione Agricoltura e Ambiente; ma mai veramente discussi. Perciò oggi siamo qui per dire che ci dobbiamo credere. Dobbiamo andare avanti perché abbiamo bisogno di fare ordine in tutto questo pasticcio che determina la difficoltà di tutelare i suoli: una risorsa da cui dipende la vita di ognuno di noi. In questa frammentazione, in questa assenza di un quadro coordinato, è difficile tutelare i suoli. La legge invece non solo fa ordine, ma costruisce strumenti operativi, disponibili liberamente via web per tutti. È un cambio di paradigma non soltanto per l’Italia ma su scala globale. Chiunque può trasformare questi dati in strumenti operativi: un agricoltore, un tecnico forestale, un operatore dell’ecoturismo che potrebbe organizzare dei tour raccontando suoli e piante. Tutti gli strumenti che abbiamo costruito sono già stati validati dal mondo scientifico perché corrispondono a ricerche già pubblicate. Siamo qui per dire alla politica: credeteci! Non è una questione ideologica ma di buonsenso: avere uno strumento che ci aiuti a gestire questi suoli.

Quali sono gli strumenti innovativi che vengono messi a disposizione, ad esempio, di un agricoltore?
Sono sistemi geospaziali di supporto alle decisioni. Significa che l’agricoltore vede dallo spazio la sua azienda, il suo comune, e può ottenere informazioni per migliorare la gestione di quello spazio geografico dalle specifiche condizioni pedoclimatiche. Sono strumenti fortemente transdisciplinari: quello del consumo di suolo è stato fatto con gli urbanisti, quello sulla composizione del suolo con gli agronomi, e così via.

Quali sono le minacce maggiori alla fertilità dei suoli, in questo momento?
Ovviamente, dal punto di vista quantitativo – come ci dice Ispra ogni anno – la minaccia maggiore è il consumo di suolo. Poi in Italia ci sono sicuramente: un’erosione molto impattante; la perdita di sostanza organica; la perdita di biodiversità; il compattamento; la salinizzazione che aggredisce le nostre aree costiere. Fattori che tutti insieme determinano un incremento della desertificazione: l’integrazione di tutti questi processi di degrado nei nostri territori.

In questo convegno non si è parlato di legge sul consumo del suolo; la ritenete altrettanto necessaria?
Un articolo della nostra proposta di legge è proprio sul consumo di suolo. Il nostro approccio tiene conto del sistema italiano. È dimostrato che non ce la facciamo a prescrivere un limite al consumo: il problema è capire come incarnarla nella nostra complessità territoriale. Perciò prendiamo il problema da un altro punto di vista: condividiamo con tutti un sistema di conoscenze e di gestione sostenibile, in modo da creare anche la consapevolezza che manca. Se non otteniamo un impatto sulla consapevolezza, perdiamo tutti. I sistemi che proponiamo hanno questo vantaggio: non sono prescrizioni, ma supporti a decisioni informate sul territorio.

 

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