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67 uccelli italiani e una faggeta del Terminillo rischiano di scomparire

Nella “Lista rossa degli uccelli nidificanti in Italia” sono elencate le specie a rischio estinzione. Alessandro Polinori (LIPU) illustra le più particolari e racconta perché le associazioni ambientaliste contestano il progetto di sviluppo economico “Terminillo Stazione Montana” approvato dalla Regione Lazio

Versione integrale dell’intervista andata in onda su Radio Vaticana Italia nel programma “Il Mondo alla Radio” del 4 febbraio 2021

Il Ministero dell’Ambiente ha recentemente pubblicato l’aggiornamento della “Lista rossa degli uccelli nidificanti in Italia” che riporta lo stato di salute dell’avifauna italiana, la più ricca di biodiversità in Europa. Sotto osservazione 278 specie che si riproducono nel nostro paese. Il risultato è che 67 di esse sono più o meno a rischio: in pericolo o nell’imminenza dell’estinzione. Abbiamo incontrato Alessandro Polinori, vice presidente della LIPU (Lega Italiana Protezione Uccelli), tra le associazioni che hanno partecipato al monitoraggio e alla stesura della Lista Rossa.

L’intervista ha avuto luogo nel Centro Habitat Mediterraneo di cui Polinori è responsabile: un’area litoranea adiacente al porto turistico di Ostia, che l’associazione ha rinaturalizzato bonificando una discarica abusiva. Dopo vent’anni il CHM ha osservato la presenza di 200 specie di uccelli (delle 500 che si osservano in Italia). La LIPU è anche una delle associazioni (tra cui Italia Nostra, ENPA, CAI, LIPU, WWF) che si oppongono al progetto di ampliamento degli impianti sciistici del Terminillo denominato “Terminillo Stazione Montana”. Il progetto, che ha lo scopo dichiarato di sostenere e rilanciare l’economia della zona, messa in ginocchio già prima della pandemia dal terremoto del 2016, ha ricevuto il parere positivo conclusivo di Valutazione di Impatto Ambientale (VIA) da parte della Regione Lazio, con l’approvazione degli amministratori dei comuni della zona e dei sindacati. Una petizione delle associazioni lo definisce non solo “dannoso” perché prevede il taglio di parte di una faggeta secolare (anche se la Regione ha deliberato un rimboschimento a compensazione), ma anche inutile per le finalità dichiarate.

Polinori, sessantasette specie di uccelli italiani sono a rischio. Ce ne può nominare e descrivere qualcuna tra le più riconoscibili o particolari?

Sicuramente ce ne sono alcune non molto conosciute dal grande pubblico ma che per le loro caratteristiche sono importanti da nominare. Una di queste è il fratino. Probabilmente molti avranno sentito parlare di questo uccellino perché ci sono state delle polemiche per alcuni concerti organizzati sulla spiaggia (nell’estate 2019 da Jovanotti, nda.). Il fratino è un piccolo trampoliere, un limicolo (uccello che vive e si nutre nelle acque basse, nda.) che va a nidificare sulle nostre spiagge. Si chiama fratino perché sembra avere un cappuccio da frate, un “cappellino” marrone. È un piccolo uccellino che arriva a nidificare proprio quando sulle nostre spiagge si cominciano a preparare gli arenili per ospitare i bagnanti.
Ancora due uccelli che per fortuna si possono vedere qui al Centro Habitat Mediterraneo. Uno è la schiribilla: un piccolo rallide (famiglia di uccelli, nda.), un uccello molto particolare che vive nelle zone umide; ha delle lunghe zampe con dita molto lunghe che gli consentono di camminare sulle erbe palustri. Questo animale è in diminuzione perché il suo habitat viene distrutto. Altra specie in diminuzione è il saltimpalo, un uccello il cui nome ci fa capire le caratteristiche e il comportamento: molto spesso si può osservare in campagna, sopra i paletti, che si nutre di insetti. Proprio per questa caratteristica, a causa dell’utilizzo di pesticidi e veleni, è un uccello sempre più raro nelle nostre campagne.
Insomma tre specie diverse che ci fanno capire quanto gli ambienti naturali degli animali selvatici, in particolare degli uccelli, siano purtroppo minacciati quotidianamente.

Chi c’è in testa a questa classifica? Quali sono le specie di uccelli che nidificano in Italia più vicine all’estinzione? Di che numeri parliamo: quando una specie diventa in via d’estinzione?

Ce ne sono diversi. Citerei due specie molto rappresentative. Il falco pescatore: un rapace bellissimo con un’apertura alare di addirittura un metro e mezzo. Come dice il nome si nutre principalmente di pesci che pesca e poi va a consumare su un albero. Questo animale era praticamente estinto in Italia, però poi c’è stato un progetto di reintroduzione e quindi pian piano ha ripopolato la nostra nazione. Ma parliamo veramente di poche coppie: circa sei in tutta Italia. Quindi è una specie molto a rischio.
Un’altra specie veramente a rischio in Italia è il capovaccaio: un nome particolare. È anch’esso un rapace: un piccolo avvoltoio che si nutre di carogne. Tra l’altro è uno “spazzino”, quindi è molto utile: evita che si possano diffondere epidemie e malattie (trasmesse dagli animali in decomposizione, nda.). Però, il fatto che in natura non ci siano più grandi animali (i grandi mammiferi, soprattutto per il drastico calo della pastorizia e dell’allevamento allo stato brado, nda.) fa sì che lui non abbia più cibo a disposizione. Inoltre, spesso purtroppo, l’utilizzo di veleni per uccidere degli animali (usati illegalmente soprattutto contro cani, lupi, topi, nutrie, volpi o predatori vari, nda.) finiscono per uccidere anche questo grande animale. In Italia ormai ce ne sono pochissimi esemplari (meno di dieci coppie, nda.). Questi sono due animali che vanno protetti, così come tanti altri inclusi nella nostra lista rossa.

Ci sono degli uccelli che non percepiamo come “in pericolo”. So ad esempio che sono in diminuzione i passeri e le rondini. Non sembrerebbe dall’esperienza quotidiana di tutti noi: quando ad esempio andiamo al bar e magari un passerotto ci gira intorno.

In realtà sia passeri che le rondini sono in netta diminuzione. Parliamo di un processo che ormai sta andando avanti da molti anni, e per due ragioni. Per i passeri, innanzitutto perché il loro habitat naturale sono i fori sulle pareti delle abitazioni e dei casali: le ristrutturazioni e i nuovi edifici non prevedono queste strutture. Poi anche i veleni: questo è un problema per tutti gli animali che vivono sia in città che in campagna. Per le rondini pensiamo anche ai cambiamenti climatici, che hanno causato sicuramente dei problemi nei luoghi di svernamento: cioè in Africa. Per altro sono due specie molto importanti: perché, ad esempio, una famiglia di rondini di un’estate può mangiare centinaia di migliaia di zanzare. Quindi la loro diminuzione non è un problema soltanto per la specie in sé, ma anche per noi; perché riuscire a convivere con questi animali sicuramente porterebbe dei benefici.

In generale quali sono i motivi per cui una specie diminuisce di numero?

Sicuramente la distruzione degli habitat è uno dei problemi principali. Pensiamo per esempio alle zone umide, che sono i luoghi in cui c’è la maggiore biodiversità. Quando vengono cancellate per interventi dell’uomo, o anche per gli stessi cambiamenti climatici, pensiamo alle estati particolarmente siccitose. Quando per esempio scompare uno stagno molti animali hanno dei grandi problemi di sopravvivenza e di riferimento di cibo. Poi sono veramente dannosi i veleni utilizzati in agricoltura; sia in maniera diretta, perché possono uccidere gli animali, sia perché fanno scomparire la fonte primaria di cibo di molti di essi rappresentata dagli insetti. Poi c’è anche il disturbo da parte dell’uomo: in certe situazioni delle specie vogliono tranquillità; quando c’è troppa presenza antropica può rappresentare veramente un grosso problema.

Ci sono però alcune specie di uccelli che sembrano vivere un’esplosione demografica. Sempre pensando alla nostra esperienza urbana: ci sono le cornacchie, i piccioni, i gabbiani, e negli ultimi anni anche i parrocchetti che hanno invaso Roma. Perché alcune specie prosperano?

Le tre specie citate per prime, gabbiani, cornacchie, e piccioni, sono le più adattabili. Sono uccelli che riescono a proliferare molto bene perché sono quelli che più si sono adattati ai cambiamenti apportati all’ambiente dall’essere umano. Sono anche uccelli chiamati “spazzini”, quindi la presenza di così tanto cibo in città, sotto forma di rifiuti, rappresenta per loro una grande attrattiva. Poi le città sono calde, quindi conviene loro vivere in città piuttosto che in campagna, dove fa più freddo d’inverno e per riscaldarsi bisogna mangiare di più. In città non ci sono predatori, non ci sono i cacciatori, e ci sono i lampioni, c’è la luce, quindi possono nutrirsi senza interruzioni.
La situazione dei parrocchetti è completamente diversa. Parliamo di animali non autoctoni (sono uccelli sudamericani, nda.) che sono stati liberati nel nostro territorio. Non da [singoli proprietari] privati, perché ormai sono talmente tanti. Probabilmente l’origine è stato qualche allevatore che avrebbe dovuto subire dei sequestri e per evitare sanzioni ha aperto le gabbie e liberato migliaia di questi animali. Con i cambiamenti climatici hanno trovato condizioni favorevoli per cui ormai sono veramente molto numerosi. Stiamo cominciando però ad osservare dei fenomeni: ovvero che i falchi Pellegrini stanno imparando a cacciare anche i parrocchetti. Pian piano la natura andrà a chiudere il proprio ciclo.

Che cosa possiamo fare come sistema-paese e come singoli cittadini per portare a zero le specie in pericolo?

Da un lato è molto importante, come sistema-paese, fare interventi di tutela della biodiversità e degli habitat. Per altro sono interventi previsti e favoriti anche dalla comunità europea. Proteggere gli habitat è molto importante. A livello globale è importante anche combattere i cambiamenti climatici. Questo anche come singoli cittadini: quindi cercare di limitare la nostra impronta ecologica; scegliere dei mezzi [di trasporto] che consumino poco; e anche dal punto vista della nostra alimentazione tutte quelle buone pratiche che possiamo sicuramente mettere in campo. È un discorso piuttosto complesso. Non abbiamo tanto tempo per intervenire perché certe specie rischiano veramente la scomparsa in tempi relativamente brevi; però se come sistema-paese riusciremo a mettere in campo delle politiche idonee… Penso per esempio che sulle aree protette abbiamo lavorato molto: abbiamo raggiunto delle percentuali di tutela dei territori importanti; però, parallelamente, il consumo di suolo sta proseguendo in maniera inesorabile. Quindi, principalmente, bisogna proteggere proprio quegli habitat che sono dei veri scrigni di biodiversità per molte specie.

La LIPU e altre associazioni sono contrarie al progetto “Terminillo Stazione Montana”, che è stato approvato dalla Regione Lazio. Sarebbe un aumento degli impianti sciistici del Terminillo; perché lo definite “dannoso”?

Dannoso perché andrebbe a interessare l’area più bella della montagna del Terminillo, un posto molto importante. In particolare parliamo della Vallonina: un versante meraviglioso dal punto di vista naturalistico, con una bellissima faggeta per altro tutelata a livello europeo. Un luogo che l’Università di Roma La Sapienza attesta potrebbe diventare un sito di ampliamento della presenza dell’orso bruno marsicano (sottospecie tipica ed esclusiva dell’Appennino, a rischio di estinzione, nda.). Quindi è un luogo molto importante anche dal punto di vista faunistico.
Consideriamo anche che, per riuscire ad avere un innevamento sufficiente (per le piste da sci, nda.) dovrebbero essere utilizzata la neve artificiale, che richiede l’utilizzo di moltissima acqua, e questo potrebbe rappresentare un problema anche per le falde del territorio. Insomma sono veramente tante le ragioni per opporsi a questo tipo di progetto che è anche inutile; perché ormai sappiamo ciò che accade con l’innevamento delle nostre montagne: nevica per pochi giorni. Quindi pensare di realizzare strutture così impattanti sulla natura per pochi giorni l’anno (di utilizzo, nda.) di miope per noi; anche perché parliamo comunque di impianti che sarebbero realizzati non al di sopra dei 1900 metri di altitudine.

Questo progetto in realtà ha anche una giustificazione economica. È cioè un tentativo dell’amministrazione pubblica e delle comunità locali di rilanciare un’economia locale che ovviamente soffre come tutta l’economia. Dobbiamo rassegnarci al concetto che o si protegge la natura o l’economia umana?

Assolutamente no. Anzi, noi associazioni stiamo chiedendo che quei soldi possano essere utilizzati per valorizzare in altro modo la montagna, il “sistema Terminillo”: con il turismo sostenibile. In questo modo, valorizzando le visite guidate, il trekking, i prodotti tipici locali, favorendo tutta quell’economia diffusa, il turismo avrebbe luogo per 365 giorni l’anno. Quindi sarebbe un benessere molto più diffuso. Abbiamo visto durante il lockdown che anche i luoghi più vicini alle nostre abitazioni sono stati presi d’assalto; anche lo stesso molto Terminillo: tantissime persone hanno riscoperto una montagna che è meravigliosa. Quindi valorizzandolo, dotandolo magari di piccole strutture compatibili che possano accogliere il pubblico, questo sarebbe un modo per creare turismo ed occupazione; e non devastare una delle ultime aree più belle dal punto di vista naturalistico del nostro Appennino.

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