Educazione

Dal ricevimento di nozze e dal frigorifero di casa alla tavola dei bisognosi, a Bari il cibo avanzato viaggia sui pattini e in bici

Avanzi Popolo 2.0: dalla Puglia un modello di rete anti spreco che coinvolge ristoranti, negozi alimentare, supermercati e privati cittadini. Il portale mette in rete chi dispone di cibo da donare, i volontari che si offrono di ritirarlo, e le associazioni o i singoli che ne hanno bisogno.

Parliamo spesso di quanto sia importante ridurre lo spreco di cibo che, in generale, viene stimato in un terzo di tutto quello prodotto. Sono fondamentali le politiche nazionali e internazionali per evitare gli sprechi all’origine: durante la produzione, il trasporto, e la distribuzione. Ma anche le famiglie e le singole persone sono chiamate a fare la propria parte. Quante volte capita di comprare alimenti troppo vicini alla scadenza? o in quantità eccessiva? Può anche succedere di comprare per errore del cibo che non mangeremo; o di trovarsi con il frigorifero pieno prima di partire per un viaggio. Un’associazione di BariFarina 080, ha ideato un progetto di food sharing chiamato “Avanzi Popolo”: un servizio che mette in contatto chi ha cibo in eccedenza con chi invece ne ha bisogno. Dagli avanzi del della festa di compleanno alle scorte di dolci di Natale, dalle rimanenze di forni, ristoranti e supermercati, a quelle di banchetti, buffet e matrimoni, una rete di attivisti e volontari riceve le donazioni delle persone comuni o degli esercenti, e le consegna a mense, convitti o anche al vicino di casa che se la passa male. “Ecosistema”, la rubrica settimanale di Earth Day Italia trasmessa da Radio Vaticana Italia, ha raccontato questa bella storia di attivismo intervistando Antonio Scotti, co-fondatore del progetto Avanzi Popolo 2.0.

Com’è nato progetto? Dallo spirito con cui viene raccontata, sembra veramente l’idea di quattro amici riuniti al bar che vogliono fare qualcosa per cambiare il mondo.

Si, è iniziato un po’ così nel 2014. Ciascuno di noi veniva da esperienze diverse: dalla cooperazione internazionale, dal commercio equo e solidale, dalla solidarietà sociale e dall’impegno a sostegno degli sportelli Caritas territoriali. L’idea era di unirsi, provare a fare qualcosa per la città che potesse riguardare il tema dello spreco alimentare. Erano gli anni dell’Expo: si parlava di cibo in maniera costante nella programmazione dei canali [tv], spesso anche in modo eccessivo, fino anche alla cura estetica del cibo. Noi invece volevamo concentrare l’attenzione su alcuni dati, in particolare quelli della FAO, che venivano pubblicati da mesi e portavano all’attenzione dell’opinione pubblica come un terzo della produzione mondiale di cibo in realtà finisse nella spazzatura. Questo significa che con il cibo che il pianeta butta, 868 milioni di persone (quindici volte la popolazione italiana) potrebbero sfamarsi per quattro anni. Di fronte a dati così abnormi e insostenibili ci siamo chiesti che cosa potessimo fare noi, nella nostra città, nel nostro piccolo e con pochi mezzi. Qui è nata l’idea di Avanzi Popolo 2.0, un progetto che sostanzialmente ruota attorno a tre pilastri. Il principale è connettere luoghi del potenziale spreco con i luoghi del bisogno, in un’ottica di rete.

Facciamo un esempio. Quali sono i luoghi di potenziale spreco e, per contro, quelli del bisogno?

Luoghi di potenziale spreco sono prevalentemente quelli dove si produce cibo fresco. Quindi, in una dimensione di quartiere, le panetterie, le pasticcerie e le frutterie. Ma quando parliamo di cibo prossimo la scadenza, dobbiamo tener conto anche del mondo delle imprese, di coloro che curano il fresco e spesso hanno formaggi, yogurt e insalate prossime alla scadenza. La nostra logica è stata impiantare un meccanismo di rete che permettesse al cibo di percorrere il minor tragitto possibile, e allo stesso tempo trasformare quel potenziale spreco in una risorsa per il territorio. Questi luoghi [del bisogno] sono enti no profit, associazioni, sportelli Caritas e parrocchie. Ci siamo attivati per aumentare i volumi di cibo raccolto in questo “mondo”. Lo abbiamo fatto in diversi modi: ad esempio, in quattro quartieri di Bari, facciamo raccolte di quartiere settimanali, con le biciclette e con i pattini. Abbiamo raccolto la disponibilità di un’associazione sportiva dilettantistica di pattinatori, soggetti lontani dal mondo del welfare ma cittadini che mettono a disposizione un’ora del loro tempo per attraversare il quartiere al termine della giornata e raccogliere tutto l’invenduto. Mediamente siamo nell’ordine di 40 chili di cibo che di sera portiamo nella disponibilità dello sportello Caritas parrocchiale, che l’indomani mattina presto viene  distribuito ad alcune famiglie. In questo modo aumenta la dotazione di cibo [dello sportello] e si elimina una quota di spreco. [Cibo] che altrimenti finirebbe nella pattumiera, con dei costi non soltanto etici e culturali, ma anche economici. Perché il paradosso è che poi il cibo buttato, aumenta il volume di rifiuti da trattare e anche l’imposta. Quindi è chiaro che [lo spreco] è un circolo insostenibile, anche dal punto di visto economico.

Altro esempio sono i matrimoni. In Puglia in particolare, così come tendenzialmente nel mezzogiorno d’Italia, i matrimoni sono bei momenti di festa e di gioia, dove però molto spesso si rischia di eccedere nel cibo offerto agli ospiti. Quando gli sposi ci scrivono sulla nostra pagina Facebook noi ci attiviamo su quel territorio. Andiamo a conoscere le realtà locali che condividono con noi la visione e il senso di responsabilità, e andiamo a creare un corto circuito tra il ristoratore e un’associazione locale. Noi dettiamo le regole su come il cibo debba essere conservato e ritirato; un gruppo di volontari si farà trovare [pronto], il giorno dopo o la sera tardi, per raccogliere il cibo e distribuirlo alle famiglie preallertate il giorno prima. Questo è il lavoro oserei dire “sartoriale”, di tessitura quotidiana, che facciamo per attivare più persone. Ecco il meccanismo della rete: un welfare “generativo”, come lo chiamano i tecnici, cioè fondato sulla valorizzazione delle comunità, che aiuta le persone a mettersi in azione e in relazione tra tutti i soggetti.

Del vostro progetto ci ha colpito che anche le singole persone che hanno in casa eccedenze di cibo possono partecipare a questa rete. Può fare degli esempi di persone che possono contattarvi, in una situazione quotidiana e, in questo modo, aiutare chi ne ha bisogno?

Hanno a disposizione due strumenti. Il primo è la piattaforma che noi abbiamo messo in piedi: www.avanzipopolo.it. I cittadini possono mettere a disposizione di chiunque quelle piccole quantità di cibo che da sole magari potrebbero fare poco, rispetto alla dotazione di uno sportello Caritas. Quali? La singola bottiglia di latte; il singolo pacco di biscotti che magari ho comprato e dimenticato in dispensa e sta per scadere; lo yogurt prossimo la scadenza e via dicendo. Ci si iscrive gratuitamente e si mette a disposizione di chiunque del cibo, che poi viene ritirato sulla base di un accordo personale via email. Allo stesso tempo, qualora vi siano delle eccedenze ad esempio dopo una festa, le persone ci contattano e noi, almeno nel territorio pugliese, siamo in grado a stretto giro di trasferire quel cibo dove c’è più bisogno.

La piattaforma è un valore molto importante, perché ha a che fare con la costruzione gli stili di vita sostenibili. Questo sta avendo un certo successo, anche se è necessario fare tutto un lavoro culturale per vincere la “sfida” di andare a incontrare una persona che non si conosce. Potrei raccontare una piccola esperienza personale che mi ha molto colpito: un giorno ho messo [sulla piattaforma] della pasta la cui trafila non mi piaceva più; una signora mi ha contattato e le ho donato due pacchi di questa pasta. Poi ho scoperto che in realtà la signora si era attivata anche per aiutare il suo vicino che stava conoscendo un periodo di difficoltà economica. Quindi si scoprono dei mondi diversi e plurimi che, partendo dallo spreco di cibo, poi ci permettono di intervenire in ambiti diversi.

C’è poi l’altra branca di questo progetto: quella educativa rivolta ai ragazzi e ai bambini. Prima di cominciare questa intervista mi ha raccontato una bella storia relativa a una scuola. La può riassumere?

È un’esperienza di cui noi siamo davvero orgogliosi. In due scuole della periferia di Bari abbiamo realizzato dei corsi di educazione alimentare, improntata alla lotta allo spreco di cibo.  Con i ragazzi abbiamo fatto delle lezioni sull’impronta ecologica degli alimenti, sul commercio equo e solidale, e su informazioni di carattere generale attinenti allo spreco. Poi abbiamo provato a testare con loro la “dispensa solidale”. Di che cosa si tratta? I bambini segnano le scadenze dei prodotti a casa; quando le scadenze si avvicinano portano questo cibo, ovviamente integro, all’interno di una dispensa collocata nell’aula magna della scuola elementare. Succede poi che la ricreazione, anziché un momento individuale, diventa un momento collettivo: i bambini sistemano i tavoli insieme agli insegnanti; mettono al centro della tavola il prodotto a rischio scadenza e lo condividono. La cosa bella è che siamo tornati dopo un anno e mezzo per capire se quel tipo esperimento avesse avuto una “gittata” di lungo periodo, e gli insegnanti, con grande meraviglia, ci hanno comunicato che i bambini, alla ripresa dell’anno, hanno chiesto che quel tipo di esperienza potesse continuare. Quindi, arrivati là, abbiamo trovato i bambini che segnavano sul registro i prodotti donati, oppure che, insieme all’insegnante, tagliavano le fette di pandoro e panettone da mettere in condivisione con tutti. Questo conferma, per chi ancora avesse dei dubbi, come la leva educativa e formativa sia l’unica utile ad evitare che nel lungo periodo si generino distorsioni come quelle per cui, purtroppo, anche il nostro paese si contraddistingue. Basti pensare che lo spreco alimentare in Italia costa 6,5 miliardi all’anno; e che, mediamente, ogni famiglia spreca cibo più o meno per 5 euro a settimana. Questi sono gli ultimi dati pubblicati pochi giorni fa dall’osservatore Waste Watch di Bologna.

Di solito parliamo di economia circolare come di qualcosa che ha bisogno di politiche europee e globali o nazionali. Questo caso invece dimostra che si può partire dal basso. Che consiglio può dare alle comunità di qualunque dimensione? Qual è il messaggio da trasmettere? Che cosa “Avanzi Popolo” può mettere a disposizione di chi ha voglia di cominciare un’esperienza di questo genere?

Nelle città c’è un enorme capitale di risorse economiche, di tempo, di cura e di competenze che purtroppo giacciono inutilizzate. Costruire un modello di comunità attiva significa trovare quelle risorse e cercare di trasformarle in opportunità. Cioè dare a ciascuno la possibilità di essere parte attiva di questo nuovo processo culturale, che in questo caso ha a che fare con la lotta allo spreco di cibo. Noi ovviamente possiamo mettere a disposizione la nostra storia e la nostra esperienza sul territorio pugliese. Chiunque fosse interessato a replicare o a costruire un format simile, non deve far altro che contattarci sulla nostra pagina Facebook  o inviarci un’email, e potremo costruire insieme un modello che possa attagliarsi alla propria realt. Secondo noi la lotta allo spreco deve diventare un bene di comunità. Cioè un bene in grado di recuperare il senso comunitario, la protezione sociale, la solidarietà che devono connotare lo spirito di ogni persona.

Articoli collegati

Turismo responsabile: “Pledge to our Keiki”

Tiziana Tuccillo

Maria Rita Parsi: “Diamo strumenti ai giovani. La Scuola al centro”

Redazione

La Scuola al Mare

Tiziana Tuccillo Giuliano Giulianini