Ecosistema Interviste

Emanuele Biggi: la passione del naturalista

A metà settembre torna GEO su Rai Tre. Con Emanuele Biggi, co-conduttore del programma quotidiano, parliamo di natura, biodiversità, e della passione del pubblico italiano per programmi televisivi, festival ed eventi, dedicati alla divulgazione scientifica di qualità.

Incontrare di persona Emaunuele Biggi non è facile. Spesso è in viaggio tra la Liguria, dove vive, e Roma, dove da dieci anni partecipa alla conduzione di GEO, su Rai Tre. Quando non fa il pendolare tra questi due poli, spesso è in viaggio per mete esotiche ad inseguire l’oggetto della sua passione, lavorativa e non: gli animali. Naturalista, fotografo, divulgatore… questa volta l’ho intercettato appena tornato dal Costa Rica, dove ha lavorato a un progetto fotografico sulla conservazione degli anfibi, e poco prima di una nuova partenza. In attesa di ritrovarne le tracce social in qualche festival culturale dell’estate, o in qualche studio televisivo, o in qualche bosco in cerca di raganelle, vipere o simili, ho avuto la possibilità di riflettere con lui sull’interesse che il pubblico riserva a documentari, trasmissioni ed eventi che presentano la natura con un linguaggio competente e approfondito, senza cedere a spettacolarizzazioni e artifici.

Ci può anticipare qualche tema, o qualche novità, dei documentari che vedremo nella prossima stagione di GEO?

I documentari come sempre saranno su un duplice binario. Ci saranno quelli dedicati al nostro territorio e alle tradizioni, che sono nostri ormai la nostra firma: vedremo nuove produzioni che i nostri collaboratori stanno realizzando anche ora, mentre parliamo. I documentari sul “nostro territorio” riguardano sia la natura, sia le tradizioni locali. A questi si aggiungerà la produzione straniera con delle novità. Il programma va in onda per quasi duecento puntate a stagione, perciò riproporremo anche titoli che reputiamo d’autore e che i telespettatori amano rivedere. Alcuni temi e documentari meritano di essere riproposti una seconda volta o una terza volta negli anni, per il loro valore di narrazione del territorio e della natura.

Quest’anno festeggia il decennale con GEO. In questi dieci anni ha notato un aumento dell’interesse del pubblico per la divulgazione scientifica di qualità?

In realtà sì; scherzosamente potrei dire in maniera anche inaspettata, perché pensiamo che non si riesca a uscire dagli schemi classici della cultura italiana. Invece, insieme all’apprezzamento che esiste ancora per la cultura umanistica, sta crescendo anche quello per la cultura scientifico-naturalistica. Lo vediamo dagli ascolti, che sono aumentati in questi dieci anni in cui sono stato presente al fianco di Sveva Sagramola nella conduzione di GEO; ma anche dall’apprezzamento delle singole persone che incontro per strada. È sempre bello vedere come apprezzano la parte naturalistica del programma, e non soltanto quella legata alla cultura, alle tradizioni locali, ai cibi.

C’è anche un altro fenomeno di questi ultimi anni, aumentato forse dai social e dai video caricati in rete: i festival, gli incontri dal vivo, in piazze e teatri, con scienziati e naturalisti. C’è un boom di questi incontri con esperti che parlano di argomenti molto specifici. Lo fa anche lei quest’estate: incontri e serate di piazza in cui parlerà di argomenti “tosti” come l’estinzione delle specie. Un fenomeno abbastanza nuovo per il nostro paese e, mi sembra, in aumento.

Sì, felicemente in aumento. Innanzi tutto sono sempre belle attività; perché si incontrano direttamente le persone. La tv non lo permette. È bello lavorare a GEO, ma è anche bellissimo poter incontrare persone che hanno certi interessi o anche solo una curiosità. Recentemente ho partecipato a serate in Maremma, nel Comune di Scarlino, e ne farò altre in Trentino a fine agosto. Ora c’è più attenzione ai temi specifici rispetto a un tempo in cui non erano così sentiti; e sono tante le persone che partecipano a questi eventi. Mi fa molto piacere, perché vuol dire che c’è vera attenzione anche al particolare. Io poi spesso parlo di piccoli animali, rane, ragni, che un tempo erano bistrattati, suscitavano solo paura e poca curiosità. Per fortuna la curiosità sta prevalendo, e vincerà sull’ignoranza di questi temi. Perciò è bellissimo che esistano questi eventi e che le persone li frequentino.

Però c’è anche un lato oscuro di questo interesse: le fake news e le bufale. Ce ne siamo occupati recentemente con un suo collega. Lei si occupa di animali che non godono di buona stampa; e purtroppo anche dalla stampa vengono diffuse falsità ed esagerazioni. Quali le danno più fastidio?

Mi dà fastidio soprattutto un fattore che riguarda, non tutte, ma buona parte di queste fake news o notizie date male: i titoli. Spesso purtroppo all’interno del testo ci sono anche informazioni sbagliate; ma negli ultimi anni ho notato questa corsa al “click a tutti i costi” in articoli che nel complesso, di per sé, non erano del tutto scorretti, anzi danno informazioni anche relativamente corrette su un fatto o un animale in particolare. Ma si arriva a leggere l’articolo da un titolo totalmente fuorviante, o addirittura contrastante, di ciò che poi si trova nel testo. Questo è un grosso problema legato al modo di far arrivare le persone all’articolo. Viene chiamato “effetto gatto morto”: attirare il pubblico con qualcosa di scabroso, di negativo; qualcosa che possa generare paura, timore o ansia. È totalmente sbagliato. Capisco perché viene fatto, anche se non condivido. È qualcosa che deve cambiare assolutamente. Poi mi infastidiscono le solite notizie false che escono in estate e sono totalmente fuorvianti per quella che è la realtà, ad esempio, della presenza di vipere o altri animali considerati pericolosi. Sono tutt’altro che pericolosi, o comunque la situazione andrebbe ridimensionata.

A proposito, ho letto sul suo profilo Facebook la storia della vipera che le ha dato il benvenuto in un suo recente viaggio in Zambia: se l’è ritrovata praticamente al check-in del resort. Questo mi dà il là per chiederle come bisogna comportarsi con questi animali: un consiglio utile, soprattutto in questo periodo in cui si va in montagna o in campagna.

Eh sì, una giovane vipera soffiante mi ha accolto proprio nel bar del lodge dove stavo in quei giorni. È stata una cosa abbastanza simpatica: i gestori sapevano che sarei arrivato e che sono appassionato di questi animali, quindi non l’hanno spostata ed hanno aspettato che arrivassi per “salutarla”. L’abbiamo “gentilmente” catturata e portata all’interno del vicino parco, per evitare che venisse disturbata. L’approccio giusto è il rispetto dell’animale. La vipera è un animale che possiede un veleno; quelle nostre, italiane, hanno un veleno per lo più non mortale, ma che può comunque portare dei problemi, soprattutto a persone dalla salute precaria. Perciò va rispettata. Bisogna sempre stare attenti anche ai propri animali domestici, ai cani in particolare, perché un morso di vipera può risultare mortale per loro. Quindi teniamo sempre al guinzaglio i nostri animali. L’animale domestico non è un animale “naturale”: vive con noi, è un nostro familiare, gli vogliamo bene. Io ho due gatti, quindi so cosa voglia dire voler bene a un animale domestico. Però, quando si va in natura non si è a casa. È un luogo in cui ci sono regole molto particolari da seguire: rispettare gli altri animali e non disturbarli. Consiglio sempre di osservare anche una vipera a distanza di sicurezza: almeno a un metro dai nostri piedi, per essere sicuri che niente potrà succedere. La vipera, appena ci vede, probabilmente se ne va, Se rimane ferma e tranquilla, la possiamo osservare senza correre alcun rischio. Questa è la cosa più indicata da fare; senza paura, senza ansie, senza la necessità di correre ripari uccidendola o nuocendole. Se ci si trova nel giardino di casa, o in una baita di montagna durante una vacanza, possiamo chiamare qualcuno del posto esperto di animali; altrimenti, semplicemente e “gentilmente” con un bastone la si tocca per farla scappare via. Non succederà niente e non ci sarà nessun problema.

Lei è appena tornato da un viaggio in Costa Rica. Recentemente è stato anche in Africa, in Zambia. Che cosa l’ha portata in queste due continenti?

In Zambia sono andato per guidare un gruppo di persone a fotografare la fauna della savana. Siamo andati ad osservare gli animali di grandi dimensioni, la cosiddetta macro fauna “carismatica”: leoni, elefanti; i licaoni, che sono dei cani selvatici davvero molto interessanti. Abbiamo fatto delle osservazioni uniche. In Costa Rica sono andato da solo per un lavoro fotografico su alcune specie di anfibi, raganelle in particolare, minacciate di estinzione da vari fattori: in particolare da un fungo che uccide le rane in tutto il mondo. Si chiama Chitridio (Batrachochytrium dendrobatidis); in Costa Rica è arrivato negli anni ‘70 e ha decimato diverse popolazioni di anfibi. Alcune le ha estinte. Sono riuscito a fotografare delle specie che, seppure a grave rischio di estinzione, ancora sopravvivono in alcune località dove ero andato in maniera molto mirata per documentare la loro presenza. Lo scopo è che le immagini siano ambasciatrici della necessità di conservare questo mondo: perché noi esistiamo, viviamo, sulla Terra grazie alla presenza di questi animali. Dico sempre che il lavoro di predatori del microcosmo che le rane fanno durante la notte, è lo stesso che sappiamo essere importante, eseguito durante il giorno da parte degli uccelli: la predazione di tantissimi insetti e artropodi che possono avere effetti negativi sulle colture umane. Ci sono tanti fattori da tenere presenti: questi animali possono non piacere, ma dobbiamo capire che sono importantissimi per la nostra stessa sopravvivenza su questo pianeta.

La biodiversità percepita dai mezzi di informazione e dagli studi è diversa da quella percepita sul campo. Lei va sul campo, sia nel nostro paese, sia all’estero; come percepisce la situazione della biodiversità? Ci sono ambienti, come le montagne che si stanno rinaturalizzando; però i dati ci dicono che in generale le specie diminuiscono. Qual è la sua sensazione?

Su queste cose sono molto pragmatico, anche perché mi baso sui dati scientifici e sui risultati di ricerche che, in alcuni casi, durano da venti o trent’anni. Tendenzialmente in Italia è in atto una rinaturalizzazione delle campagne, delle colline e dell’Appennino. Ciò ha portato all’espansione di alcune specie, ad esempio il lupo che ha giovato di zone boschive più diffuse e collegate tra loro rispetto a un tempo. Dall’altra parte bisogna tener presente che alcuni animali e piante vivono in Italia anche grazie alla presenza umana: non siamo sempre negativi nei confronti dell’ambiente; siamo comunque animali, e con la nostra presenza modifichiamo alcuni ambienti non necessariamente in maniera negativa per alcune specie. Ad esempio molte orchidee selvatiche, di grande pregio naturalistico, vivono in ambienti a volte altamente “innaturali”, come i prati sfalciati: qualcosa che esiste soprattutto grazie alla presenza umana. Noi creiamo questo tipo di ambiente, o lo espandiamo rispetto alla sua forma naturale. Perciò da una parte c’è stata un’espansione della biodiversità, per alcune specie; dall’altra la retrazione di altre che giovavano di ambienti di origine antropica, altamente facilitanti per quelle specie. Tendenzialmente è ciò che sta avvenendo un po’ in tutto il mondo: ci sono luoghi che vengono deforestati, con una grave riduzione della biodiversità, ed altri che si stanno rinaturalizzando.

Lei è l’esempio di una persona che lavora grazie a ciò che ha studiato: un naturalista, appassionato di fotografia, che lavora come fotografo e naturalista. Quindi ha unito due passioni in un lavoro, obiettivamente con successo. Sappiamo bene, però, che in Italia i naturalisti, e i ragazzi che si dedicano allo studio delle scienze naturali, non hanno futuro lavorativo certo. Qual è la situazione dal suo punto di vista?

Sono un inguaribile ottimista, quindi in questa risposta potrei essere fuorviato dal mio ottimismo imperante in tutte le cose che faccio e che vedo in giro. Detto ciò bisogna cercare di essere realisti e dare un consiglio a ragazzi che si avvicinano con passione o con curiosità a questo mondo. La verità è nel mezzo. Secondo me ancora oggi si può trovare lavoro in questo ambito, anche in Italia. Purtroppo si dà ancora poca importanza al ruolo del naturalista nelle tematiche umane. Penso ad esempio alle indagini di impatto ambientale legate a nuove costruzioni e insediamenti. Chi fa il naturalista, chi studia scienze naturali, o anche biologia con una componente naturalistica, dovrebbe avere una certa forma mentis e una grossa passione. Senza una forte passione, un forte interesse, è molto difficile trovare lavoro in questo ambito. Bisogna veramente crederci, anche perché non è facile. Recentemente si è aperto un canale: la divulgazione; ma anche lì le situazioni che permettono l’inserimento nel mondo del lavoro sono troppo poche. Ci sono molti musei che si stanno attrezzando: hanno associazioni che si occupano della comunicazione, e quando un naturalista si laurea, in questo periodo, spesso trova lavoro in quell’ambito. Certamente ancora non c’è lavoro per tutti, come in molti altri ambiti. Le stesse facoltà, che un tempo davano lavoro al 100% dei laureati, adesso “singhiozzano”. Quindi, al di là della facoltà e dell’ambito di studio che si vuole intraprendere, consiglio di seguire fortemente la propria passione. Se sono riuscito ad arrivare a qualcosa, nell’ambito lavorativo, è stato solo grazie alla mia grande passione per le scienze naturali e per i piccoli animali in particolare.

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