Dario Nardella, sindaco di Firenze
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Dario Nardella: “Il Sindaco deve cambiare lampadine e promuovere la pace”

Dario Nardella, primo cittadino di Firenze cita Giorgio La Pira e delinea il ruolo delle città nello sviluppo sostenibile e sociale, sullo sfondo di un nuovo “umanesimo digitale” in cui l’innovazione sia un mezzo, non un fine, e si metta sempre l’uomo al centro.

A fine febbraio Firenze ha ospitato “Mediterraneo frontiera di pace” l’incontro dei vescovi delle comunità cattoliche dell’area mediterranea, organizzato dalla CEI. Contemporaneamente il Comune di Firenze ha accolto i sindaci delle città di 20 paesi del bacino mediterraneo per discutere del ruolo delle amministrazioni locali nelle politiche di cooperazione e sviluppo. I due eventi sono confluiti in una discussione comune, culminata con la firma di un documento unico, la “Carta di Firenze”, sottoscritto dall’assemblea dei vescovi e dei primi cittadini presenti. La Carta chiede ai governi delle nazioni mediterranee di ascoltare i rappresentanti cittadini delle comunità religiose e civili, e di coinvolgerli nei processi decisionali per risolvere le sfide cruciali di quest’area geografica, che sono: i conflitti, le violenze, i flussi migratori, la povertà, la crisi climatica e ambientale.

Earth Day Italia ha seguito sul posto sia i tavoli di confronto dei vescovi, sia i lavori del Mediterranean Forum dei sindaci. Su quei tavoli si è parlato di dialogo interreligioso, di sviluppo sostenibile, di integrazione e confronto a partire dalle differenze, ma anche di innovazione, di tecnologie, di etica dello sviluppo e del ruolo delle comunità locali nella crescita sociale. A margine dei lavori abbiamo registrato questo dialogo tra il sindaco di Firenze, Dario Nardella e Francesco Cicione, presidente di Entopan, un imprenditore che promuove l’etica dell’integrazione tra innovazione tecnologica, ambientale e sociale. Una riflessione a due voci sul ruolo delle città nello sviluppo sostenibile e nella risoluzione dei conflitti dell’area mediterranea.

Di seguito la versione integrale dell’intervista, trasmessa durante “Ecosistema” la rubrica settimanale di Earth Day Italia all’interno del programma “Il Mondo alla Radio” di Radio Vaticana Italia.

Sindaco, nell’800 solo il 3% della popolazione mondiale viveva nelle città; oggi circa il 55%; nei prossimi dieci anni si immagina il 70%. Quasi il 60% del PIL mondiale è prodotto nelle città. Quale contributo geo politico e geo economico possono dare le città ai processi di crescita sostenibile, di sviluppo inclusivo, di riduzione delle diseguaglianze, di costruzione di quella civiltà della giustizia e della pace a cui La Pira faceva riferimento?

Il covid ha fatto credere per un momento che le città entrassero in un cono d’ombra storico, con una crisi senza precedenti che avrebbe potuto scatenare un esodo al contrario: il ritorno nelle campagne, lontano dai luoghi di socialità dove la pandemia miete più vittime. Non è stato così; anzi le città hanno mostrato di essere i veri luoghi della “resilienza”, come si dice oggi. Sono state anche laboratori di innovazione che hanno risposto alla sfida della pandemia con i mezzi più disparati: pensiamo alle palestre e ai palazzetti dello sport allestiti dai sindaci come grandi hub vaccinali; pensiamo al dialogo continuo con le comunità per responsabilizzarle sulle limitazioni e sulle prescrizioni sanitarie. Ricordiamo tutti le grandi metropoli vuote silenziose, austere, da Parigi a New York, da Berlino a Mosca durante il lockdown del 2020: quello che è apparso, ed è stato, un elemento di grande fragilità, però si è tramutato in una grande risposta di innovazione. Le città dunque dimostrano di essere i luoghi dove si possono sperimentare modelli di inclusione e convivenza, anche nelle emergenze. L’Ottocento è stato il secolo delle Nazioni: sono nati i modelli politici degli stati nazionali; mentre invece sono convinto che questo sia il secolo delle città. Città che nascono e crescono. Città (soprattutto quelle europee) che non sono mai una tabula rasa: sono sempre sedimentazioni di architetture, culture, fasi sociali. Questa è la storia delle città, dei nostri paesi. Città che oggi non hanno eserciti o muri, perché costruiscono ponti, mettono in campo una capacità di diplomazia, guardano al mondo. Come diceva La Pira, inaugurando con grande intuizione i gemellaggi come forma innovativa di diplomazia delle città: “Il Sindaco di Firenze deve cambiare lampadine e promuovere la pace nel mondo”. Questo è il ruolo delle città: promuovere modelli di convivenza sostenibili e inclusivi; e allo stesso tempo parlare al mondo intero e portare avanti soluzioni globali.

Le città dunque come luoghi della prossimità solidale, che custodiscono i semi di futuro; a maggior ragione in un’epoca segnata da cambiamenti così rapidi per velocità, profondità e portata. Si parla molto di umanesimo digitale: lei è il sindaco di Firenze, la culla che custodisce il lusso dell’umanesimo classico; in che modo l’umanesimo digitale può essere orientato e ispirato dalla grande tradizione di quello classico?

Se è vero che l’umanesimo ha messo l’uomo al centro delle relazioni con il mondo, la natura e l’ambiente, come rappresentano gli affreschi di Palazzo Vecchio e il Rinascimento fiorentino, anche oggi l’umanesimo digitale rappresenta una visione anticiclica rispetto alla prospettiva della robotizzazione dell’umanità e dei modelli produttivi. Il rapporto tra uomo e macchina è il tema cruciale del nostro tempo. L’umanesimo digitale mette l’uomo al centro e considera l’innovazione tecnologica e digitale come uno strumento, non un fine. L’uomo non deve mai sottoporsi e soggiacere alla forza della macchina, ma deve mantenere la sua centralità. Questo è un tema che ci interroga anche sulle grandi questioni, sia religiose che etiche. L’anno scorso uscì su un quotidiano una notizia che non fece molto rumore, ma mi colpì molto: in Cina, un team di scienziati annunciò di aver raggiunto la clonazione degli scimpanzé; e non negò di essere vicino anche alla clonazione dell’essere umano. Tutto questo è avvenuto grazie alla tecnologia, al progresso, anche digitale. Però: che limite vogliamo dare a tutto questo? Altrimenti, quando arriveremo al giorno in cui l’uomo penserà di essere Dio, l’umanità finirà. Questo è il senso dell’umanesimo: l’uomo al centro ma anche capace di darsi dei limiti. Questi limiti ci servono a stabilire una nuova relazione anche con quella ecologia integrale di cui parla Papa Francesco nell’enciclica Laudato Si’. Nell’ecologia integrale l’uomo è al centro ma non domina tutto: stabilisce un rapporto alla pari con tutte le creature e, prima di tutto, con il mondo che ha intorno a sé. Dunque anche la transizione digitale non può mai smarrire i valori etici che mettono al centro l’importanza della vita umana.

L’innovazione dunque come strumento al servizio di un’antropologia integrale, dell’uomo e dell’umanità, capace anche di recuperare il rapporto armonico tra uomo e creato, tra uomini e uomini. Quindi l’aspirazione a un canone di bellezza e di armonia, anche come manifestazione di una concreta e fattiva attuazione di quel ritorno all’etica cui lei faceva riferimento. L’innovazione armonica e l’armonia… da musicista, che cosa può dirci dell’armonia?

Io credo che la musica ci possa aiutare molto a capire le città, le comunità; anche a favorire il dialogo tra i popoli. Se pensiamo a un’orchestra sinfonica ci rendiamo conto di che significa la differenza dei suoni e degli strumenti, e allo stesso tempo la sintesi, che è l’effetto musicale finale di una sinfonia. La sinfonia non è mai una somma algebrica: ogni strumento ha la sua parte e suona la sua musica; solo la fusione delle musiche di diversi strumenti dà il risultato della sinfonia. Penso che questa visione dell’armonia, cioè di unire le differenze, suoni differenti che poi ne danno uno unico, ci possa aiutare anche a orientare gli sforzi politici e sociali che facciamo nelle nostre città e nel nostro paese. Non dobbiamo aver paura delle differenze; anzi, se non ci fossero avremo un solo suono. Ma l’unisono non è una sinfonia. Per avere un accordo non mi basta una nota; ho bisogno di più note, tra di loro diverse. Senza diversità non abbiamo armonia. Questa credo che sia la grande rivoluzione, in un mondo dove si confonde la ricerca del dialogo con la ricerca dell’unanimismo. Anche in questi giorni c’è una dialettica su chi può partecipare o no al dialogo. Secondo me, quando parliamo di pace tutti devono poter partecipare con le proprie sensibilità. La vera sfida è arrivare poi ad un risultato armonico.

D’altronde l’armonia si nutre di contrappunti, di suoni diversi, gravi ed acuti, che diventano consonanze. Oggi che soffiano venti di guerra, in che modo far sì che l’armonia serva a ricostituire i legami interrotti, anche nel Mediterraneo, affinché “dal” Mediterraneo si possa ispirare una nuova fase di benessere nel mondo.

L’unica strada è il dialogo, il confronto. Dialogo, dialogo, dialogo! Mai rinunciare al dialogo. Giorgio La Pira diceva: “La guerra è la strada meno conveniente”, usando un argomento molto pragmatico. È così ancora oggi: la guerra alla fine conviene a pochi, non alla maggioranza; perché determina conseguenze economiche e sociali inevitabilmente terribili. Perciò non possiamo che perseguire la strada del dialogo. È proprio nei momenti difficili come quello che stiamo vivendo che il dialogo si fa necessario e vitale.

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