Ecosistema

LIPU: Non sono le Regioni a dover difendere l’ambiente. Per caccia e agricoltura serve una regia nazionale.

Intervista ad Aldo Verner, nuovo presidente della LIPU. “Massima fiducia nel Ministro Costa ma dalle parole bisogna passare ai fatti”. Sulla querelle con Jovanotti: “I concerti potevano essere fatti altrove”. Cinghiali e gabbiani? “Poche specie aumentano di numero, molte altre le perdiamo”.

Durate l’estate la LIPU, storica associazione ambientalista nata a metà degli anni ’60, ha rinnovato i suoi organi istituzionali. Dopo diversi anni c’è stato un significativo cambio al vertice, con l’elezione del nuovo presidente Aldo Verner: genovese, di professione veterinario, con una lunga esperienza nella vigilanza ambientale, e nel recupero e cura della fauna selvatica. La Lega Nazionale Protezione Uccelli, da diversi decenni non si occupa più soltanto di volatili, ma anche di conservazione della natura, ricerca scientifica, educazione ambientale, controllo del territorio contro la caccia illegale e i crimini ambientali.
Ecosistema, il programma radiofonico di Earth Day Italia trasmesso da Radio Vaticana Italia lo ha intervistato per fare un punto sulle questioni più impellenti della tutela del patrimonio naturale.

Presidente Verner lei viene da due mondi vicini ma che spesso risultano distanti: è veterinario ma anche impegnato per la fauna selvatica, nel controllo venatorio. Succede spesso che i veterinari siano anche esperti di fauna selvatica?

In generale no. Chiaramente un veterinario è attratto da tutto quello che riguarda il mondo animale. Quindi può essere interessato anche al recupero e alla cura della fauna selvatica, o alla protezione della fauna attraverso l’attività antibracconaggio. Però credo di essere veramente l’unico veterinario che abbia fatto tutte e due le cose. In generale ci sono dei veterinari che aiutano nei centri di recupero, ma non credo che molti di loro facciano le guardie venatorie.

Qual è lo stato del patrimonio naturale faunistico italiano, in questo periodo?

Recentemente abbiamo pubblicato una guida allo stato di conservazione degli uccelli selvatici che abbiamo intitolato “Conoscerli, proteggerli”. È uno dei tanti studi che la Lega Italiana Protezione Uccelli fa regolarmente sullo stato della fauna italiana, in particolare sugli uccelli. Abbiamo ottenuto dei risultati molto vari. Alcune specie che quando ero ragazzo erano molto comuni sono in forte diminuzione, come l’allodola, il cardellino, il saltimpalo e tutti gli uccelli collegati al mondo agricolo. Altre specie invece sono per fortuna in aumento, grazie alle al fatto di essere diventate protette e all’attività della LIPU, del WWF e di altre associazioni ambientaliste. Ad esempio l’allodola è uno di quegli uccelli in forte diminuzione. I cacciatori, nel periodo di apertura della caccia (settembre – gennaio, nda.), erano soliti fare dei sacchi di allodole, che erano una preda molto diffusa nei campi. Adesso le allodole nidificanti sono sempre meno, tanto è vero che noi chiediamo che non ne venga più permessa la caccia.
I motivi (del calo delle specie, nda.) sono vari. Sicuramente la caccia è un fattore importante; ma altrettanto importante, e forse ancora più impattante, è il cambiamento del mondo agricolo. Si è passati da un’agricoltura estensiva a un’agricoltura intensiva, con la mancata rotazione delle colture, la distruzione di barriere come le siepi, e un consistente aumento dei fitofarmaci. In più, anticipando i raccolti, c’è la possibilità di distruggere i nidi di allodola e di altri uccelli che nidificano in mezzo alle colture.
Un altro esempio invece è più collegato ai cambiamenti climatici. Animali localizzati sulle montagne, come la pernice bianca, sono in forte diminuzione. In questo caso l’agricoltura non c’entra nulla, ma c’entra il continuo aumento delle temperature medie che porta alla perdita di quei territori “relitti” dove vivevano le pernici bianche. Questi animali, di origine artica, non riescono a trovare delle alternative a terreni di montagna innevati per la maggior parte dell’anno e quindi adatti alla loro vita che, naturalmente, si è sviluppata dopo le glaciazioni con la permanenza solamente sui monti più alti.

Lei sta parlando di un depauperamento di alcune specie che in passato erano più numerose nel nostro territorio. Però l’opinione pubblica ha spesso la sensazione contraria, cioè di una presenza massiccia di specie, anche “spettacolari”: come succede a Roma con i gabbiani e i cinghiali. Si resta un po’ spiazzati da questi messaggi contrastanti: da una parte parliamo di consumo di suolo e di invasione dell’uomo degli spazi naturali; dall’altro ci ritroviamo “invasi” da questa natura selvatica che arriva nelle città. Qual è la chiave di questo appartamento controsenso?

Il gabbiano reale è un animale definito “opportunista”, cioè riesce a sfruttare molto bene gli ambienti più banalizzati e più poveri (dal punto di vista della biodiversità, nda). Si nutre soprattutto di rifiuti e nelle nostre città riesce a catturare i piccoli di colombo che erano molto numerosi. Il gabbiano reale è in forte aumento e invade i nostri tetti per nidificare, ma tutte le altre specie di gabbiano, molto più specializzate, in realtà sono in diminuzione. In pratica queste specie che abbiamo citato sono quelle più adattabili. Ad esempio i corvidi: la cornacchia grigia e la gazza, che sono in aumento in tutta Italia solo perché, appunto, non sono legati a un habitat particolare ma sono in grado di occupare ambienti normalmente ostili, come la città, che forniscono una grande quantità di cibo abbandonato.
Per ciò che riguarda i cinghiali abbiamo tre aspetti fondamentali. Il primo è che, con l’abbandono di molte aree agricole, soprattutto di collina e di montagna, si sono ricreati i boschi; e il cinghiale è un animale che vive nei boschi, quindi ha avuto un fortissimo incremento per l’aumento delle possibilità di nutrirsi. Quando questi boschi confinano appunto con le città, i cinghiali, essendo animali molto intelligenti e opportunisti, possono entrarvi attirati dai rifiuti che a Roma come in altre città vengono abbandonati vicino ai cassonetti. Oppure addirittura rovesciano i cassonetti per nutrirsi dei rifiuti. Tra l’altro, con un comportamento assolutamente sbagliato, alcune persone sono solite nutrire questi cinghiali. Inoltre, in maniera assolutamente illegale, alcuni ambiti territoriali di caccia (in pratica quelli che gestiscono i cacciatori) hanno in questi ultimi anni la consuetudine di nutrire i cinghiali per fargli superare l’inverno, sostenendo che così non arriverebbero ai campi coltivati; mentre al contrario ci arrivano tranquillamente. In questa maniera non si crea neanche più quella selezione naturale che potrebbe essere dovuta a un inverno particolarmente nevoso o freddo. Se noi li “sosteniamo” poi non possiamo lamentarci di trovarceli in mezzo alle città.
Una differenza tra le due specie è che i cinghiali hanno un altissimo ritmo riproduttivo, mentre i gabbiani comunque nidificano una volta all’anno. Ogni femmina di cinghiale può fare dieci o dodici piccoli di cui ne sopravvivono almeno sette o otto e, in condizioni naturali, vanno in calore una volta sola all’anno. Se invece vengono nutriti possono accelerare anche il loro ritmo riproduttivo. Quindi, in realtà, noi vediamo molti animali ma di poche specie. Mentre al contrario perdiamo molte specie che non sono conosciute e più. Tra queste ad esempio le rondini che sono in forte diminuzione in tutta Europa, sempre per una questione di banalizzazione dell’agricoltura.

Dopo la sua elezione a presidente c’è stato un cambio di Governo che però, al Ministero dell’Ambiente, ha visto la conferma del ministro Costa. Tra l’altro va specificato anche che, al momento, l’ex presidente della LIPU è uno stretto collaboratore del Ministro. Che cosa si aspetta la LIPU dal nuovo Governo? Su quali battaglie si sente fiduciosa per il prossimo futuro?

La LIPU naturalmente non è schierata con nessun partito politico, perché siamo un’associazione che dev’essere di tutti. Giudichiamo le scelte politiche non da chi le fa, ma per come sono fatte. Abbiamo la massima fiducia nel Ministro dell’Ambiente, soprattutto per il suo passato di forestale, perché si è battuto per anni contro l’inquinamento ambientale. Il fatto che l’ex presidente della LIPU sia un suo collaboratore, perché si conoscono da anni, non significa assolutamente nulla: se noi della LIPU riscontrassimo che il Ministro dell’Ambiente prende qualche decisione contraria a quello che pensiamo, lo diremmo assolutamente in maniera molto chiara. Devo dire che, per la prima volta dopo molti anni, con questo Governo si parla di ambiente. Però noi siamo molto scettici da questo punto di vista: nel senso che dalle parole bisogna poi passare ai fatti. Poiché ho una certa età, ricordo che quando era di moda parlare di ambiente sono nati dei movimenti e anche un partito dei verdi; ma molti politici ne parlavano senza conoscere la materia, e poi hanno abbandonato molto in fretta quella specie di vernice che si erano dati addosso. Non è certo il caso del ministro Costa, ma quando si parla di ambiente poi bisogna vedere quali sono le iniziative pratiche che si vogliono fare.

Nella pratica, quali le sembrano i problemi più urgenti? Da interviste precedenti, ad esempio, mi è sembrato che l’autonomia delle regioni sia una grossa questione per la governance dell’ambiente in Italia.

Noi eravamo molto preoccupati per il governo precedente e vogliamo monitorare quello che farà questo. Quando si parla di autonomia regionale dobbiamo considerare che l’ambiente deve essere difeso a livello globale, o perlomeno continentale, non certo a livello regionale. Non è possibile che, ad esempio, una tortora selvatica non sia cacciabile in una regione e sia cacciabile appena passa il confine regionale. Alla stessa maniera, se parliamo di inquinamento da plastica, come facciamo a demandare alle regioni un problema così vasto? È chiaro che si tratta di investire e di avere una regia almeno a livello nazionale, per esempio per quello che riguarda il mondo agricolo e il mondo venatorio; ma sarebbe ancora meglio se fosse coordinata a livello europeo, in modo che ci siano effetti ad ampio raggio.
Pensi per esempio a un animale che fa migliaia di chilometri partendo dal nord Europa per trasferirsi nel sud del continente o addirittura in Africa: com’è possibile che non ci sia una legislazione che tuteli questo animale in tutti i paesi europei che attraversa, se è un animale a rischio? Com’è possibile che, invece, addirittura all’interno di uno stesso paese, con le stesse leggi, possa essere cacciabile in un posto e non cacciabile nell’altro? Poi c’è la tutela ambientale. Adesso vediamo gli effetti climatici del surriscaldamento globale. Sarebbe inutile per una regione italiana avere una legislazione molto restrittiva, ad esempio sulle emissioni industriali, se poi un’altra regione confinante o un altro stato che fa parte dell’Europa avessero una legislazione opposta.

Quest’estate c’è stata una polemica intorno ai concerti di Jovanotti tenuti su molte spiagge italiane. In questa querelle è emersa della frizione fra diverse associazioni ambientaliste. Il cantante ha fatto delle accuse che il WWF, che aveva approvato i concerti, non ha ricusato in tota e anzi ha spalleggiato. Che rapporti ci sono tra le associazioni ambientaliste italiane, che di solito fanno battaglie comuni?  Quali sono i rapporti fra diciamo le varie anime dell’ambientalismo italiano?

Normalmente noi collaboriamo con le altre associazione ambientaliste, compreso il WWF, che in genere ha delle politiche molto simili alle nostre. In quest’ultimo caso credo che anche all’interno del WWF ci fosse molta divisione sull’appoggiare o meno questi concerti. Il problema non è fare un concerto sulla spiaggia, che può anche essere un’idea geniale avuta da Jovanotti, ma “dove” fare il concerto e in quale periodo. Alcuni concerti, ad esempio, erano stati organizzati in una delle poche spiagge dove nidificano le tartarughe marine. Oppure vicino a dove nidifica un piccolo limicolo che si chiama fratino, in via di estinzione in Italia. Per questo eravamo scesi in campo sin dall’inizio, avvertendo il cantante che era una zona a rischio. Quindi perché farlo lì, e non farlo invece in un posto più turistico, in una parte della spiaggia dove questo pericolo non c’era? C’è stata un po’ di prepotenza da questo punto di vista. Per quello che riguarda il WWF, probabilmente alcuni tra loro hanno pensato che, dando delle direttive allo staff del cantante, si poteva evitare il rischio. Comunque (i concerti, nda.) potevano essere fatti in altri luoghi e in altri periodi.

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