Mauro Spagnolo - Rinnovabili.it
Innovazione Interviste

Mobilità elettrica: strada maestra per l’Europa

Intervista a Mauro Spagnolo (Rinnovabili.it). Il futuro della mobilità? Elettrico, condivisione, idrogeno, incentivi e investimenti nelle infrastrutture. Martedì prossimo politica, industria, imprese, innovatori e associazioni a convegno nell’evento online Futur(e)Mobility.

Martedì 25 gennaio istituzioni, aziende, associazioni, enti, imprenditori ed esperti di mobilità si ritroveranno nel convegno “FutureMobility”, evento organizzato da rinnovabili.it e aperto alla partecipazione di tutti tramite i canali streaming a disposizione. La giornata si dipanerà tra i panel: “L’impegno della politica e delle Associazioni verso la mobilità ad emissioni zero” (politica e istituzioni); “Città e infrastrutture nell’era digitale: come si preparano i Comuni alla sfida della mobilità elettrica?” (territori); “Auto elettrica, i 4 nodi da risolvere per la sfida del 2030: autonomia, tempi di ricarica, costo e capillarità della rete” (costruttori); “Dalla proprietà alla condivisione: il nuovo approccio alla mobilità ed il ruolo dell’innovazione tecnologica” (innovazione e stile di vita). Per anticipare alcuni temi del convegno e delineare i tanti ambiti di un argomento complesso come la mobilità sostenibile, EarthDay.it ha intervistato Mauro Spagnolo, direttore di Rinnovabili.it.

Direttore, automobili e motocicli elettrici e a idrogeno… con queste tecnologie a zero emissioni ci sono anche i treni, le navi, gli autobus. Lo Stato attualmente incentiva il mezzo privato per sostituire un parco circolante ancora a combustibili fossili, per la gran parte. Secondo lei è davvero questa la politica più “green” per il nostro paese? Non sarebbe preferibile disincentivare il trasporto privato a favore di quello pubblico, di massa?

Mauro spagnolo – Rinnovabili.it

Questo è un tema molto delicato e strategico. Partiamo da una considerazione di fatto: l’inquinamento e le emissioni nel settore dei trasporti sono davvero importanti. Nonostante il covid19, in Italia lo scorso anno erano più del 25% delle emissioni totali; di queste, i tre quarti sono da imputare alla mobilità urbana, e quindi a quella privata. Da una parte è vero che sarebbe molto meglio disincentivare la mobilità privata a favore di quella pubblica. D’altra parte, parlando di urgenze, è importantissimo mettere le mani quanto prima sulla mobilità privata, per trasformarla in basso emissiva o addirittura per annullare completamente le emissioni; perché è davvero un problema. Quindi ben vengano comunque gli incentivi al privato. Sicuramente bisognerebbe metterli in parallelo con servizi migliori per il pubblico. Inutile girarci intorno: i cittadini non si divertono a prendere le auto ogni mattina per andare a lavorare; ma sono costretti a prenderla, specialmente nelle grandi città italiane: perché, nella media della comparazione con le altre città europee, i servizi pubblici sono sicuramente più faticosi e inefficienti.

A proposito di grandi città italiane ed europee, da qualche anno c’è anche la soluzione dei mezzi condivisi: automobili, ma anche motocicli e addirittura monopattini, che superano il concetto di possesso del mezzo di trasporto a favore della condivisione. Lo vede possibile su grandi numeri? Oppure è un’utopia che un automobilista si trasformi in utente di un servizio?

No, assolutamente nessuna utopia! Anche perché, al di là di ciò che penso io, sta diventando una realtà, con un incredibile trend di diffusione nelle nostre città. La mobilità di condivisione, la sharing mobility, è davvero uno degli elementi innovativi. Addirittura mi azzarderei a parlare di rivoluzione della mobilità per questa trasformazione, che lei giustamente chiama “filosofica”, del superamento del fascino del possesso. Noi italiani siamo nati con il mito del possesso dell’auto. L’auto di condivisione fa molto bene sia all’ambiente, sia al portafogli, perché paghiamo l’auto unicamente nel momento e nel luogo in cui ci serve. Le auto di proprietà – quelle che il 98% degli italiani ancora posseggono – per quasi l’80% della loro vita stanno ferme in un garage o occupano un terreno urbano pubblico. Quindi questo della condivisione è davvero un approccio strategico. Tanto più che molte società, lentamente ma con un trend in crescita, stanno sostituendo il parco di auto da noleggio con auto elettriche. Questa, in assoluto, è la soluzione migliore.

Rispetto ad altre economie sviluppate, l’Italia è indietro sul parco circolante di auto elettriche. In questo momento i consumatori italiani puntano più sull’ibrido; anche perché la rete di ricarica è ancora poco diffusa. Secondo lei si sta facendo tutto il possibile? È più un problema di infrastrutture, di colonnine che mancano? o di mercato? dell’oggetto-automobile? di scelte dei costruttori? di distribuzione sul nostro territorio di veicoli elettrici?

Io credo che sul mercato italiano attualmente ci sia un’offerta straordinaria di mezzi elettrici. Ogni costruttore ha almeno un modello, e in media due o tre. Quindi l’offerta c’è, e comincia ad essere competitiva dal punto di vista economico, almeno per alcune marche. Il problema sono le infrastrutture. L’auto elettrica diventa più un’ossessione che un valore aggiunto, quale dovrebbe essere, se risulta troppo faticoso andare a cercare una colonnina: perché magari è lontana da casa o dall’ufficio, oppure devo fare la fila o mettermi in lista quando la trovo perché sono ancora talmente poche. Ritengo quindi che l’unico vero problema per la diffusione della mobilità elettrica, in questo momento, sia la difficoltà o la lentezza dell’amministrazione nell’adeguarsi a questa grande trasformazione. Lo sviluppo delle auto ibride, che è esponenziale in Italia, è a rischio per questo: c’è grande sensibilità dei consumatori su questi temi, ma allo stesso tempo hanno un approccio “realistico” dal punto di vista territoriale e urbano. Perché molto spesso è davvero difficile avere questi servizi comodamente a disposizione.

C’è poi un’altra soluzione che la tecnologia ci mette a disposizione, ma in realtà per ora si è vista poco: l’idrogeno. Enea sta avviando dei progetti per la produzione di idrogeno: non solo come combustibile per la mobilità, ma anche per fornire energia all’industria. Lei crede che un giorno nel nostro o in altri paesi vedremo auto a idrogeno che non siano delle curiosità o dei prototipi, ma una quota consistente del circolante?

Io credo che la tecnologia per produrre idrogeno in questi ultimi anni sia andata molto avanti; anche grazie a investimenti importanti che stanno facendo alcune aziende. Il problema dell’idrogeno è solo uno: il costo dell’energia; perché la trasformazione (dall’acqua all’idrogeno, nda.) è particolarmente energivora. Se, come in altri settori è riuscito, si arrivasse a efficienze maggiori nel processo di trasformazione, l’idrogeno è una soluzione importante, che cambierà la mobilità del futuro. Non è una “fonte”, quindi non è paragonabile alle fonti rinnovabili o al petrolio, ma un “vettore”: cioè un elemento che consente di caricarsi di energia e di trasportarla dove vogliamo, per poi restituirla al momento dovuto. Quindi è uno strumento per non inquinare, ad esempio, nelle zone urbane, dove l’inquinamento è molto alto. Però è importante che questa trasformazione venga fatta utilizzando energia pulita; altrimenti non risolviamo il problema ma semplicemente lo andiamo a “remotare”: cioè facciamo pagare l’approccio green inquinando altri siti, magari fuori dalle città, dove l’idrogeno viene prodotto (utilizzando fonti di energia non pulite, nda.). Si sta lavorando moltissimo da questo punto di vista e l’idrogeno green, secondo alcuni rapporti tecnici sul piano di sviluppo (alcuni dicono nell’arco di cinque, altri di dieci anni), potrebbe avere un costo talmente competitivo da giustificare gli investimenti che oggi tutti i settori dei trasporti stanno facendo. Cito anche i treni a idrogeno: già ce ne sono parecchi; in Germania sono già dei mezzi di linea; e a breve ci saranno anche in Italia. E poi le navi e gli aerei a idrogeno: è un’innovazione che sta coinvolgendo in modo trasversale la mobilità e il settore dei trasporti.

Foto Pixabay.com

Quando parliamo di mobilità futura, subito la mente va quella privata, personale, delle automobili, dei trasporti individuali; ma in realtà gran parte dell’inquinamento, e dei trasporti in generale, deriva dal settore commerciale: il trasporto delle merci, le navi container, le petroliere che, non dimentichiamo, sono la causa dei più grandi disastri ambientali degli ultimi decenni. Secondo lei, quando riusciremo a rendere a zero emissioni anche tutti questi mezzi di trasporto? Quanti anni ci vorranno?

Quando? Quando un chilo di idrogeno costerà almeno quanto un litro di nafta. Questo sarà il parametro che ci farà capire che siamo davvero arrivati a superare la cuspide. Si sta lavorando talmente intensamente sull’innovazione tecnologica che, secondo me nell’arco di non più di 10 anni, anche il settore dei grandi trasporti (navi, e in piccola parte aerei) potrà cominciare ad essere coinvolto e quindi sviluppare un mercato anche per questi mezzi.

Il primo panel dell’incontro è “L’impegno della politica e delle associazioni verso la mobilità ad emissioni zero”. Quali istituzioni e quali associazioni le sembrano più attive per raggiungere questo traguardo?

A macchia di leopardo esistono delle realtà politiche e istituzionali molto sensibili al problema della mobilità. Il rovescio della medaglia è che esistono molte realtà che invece non lo sono affatto. In questo panel abbiamo invitato personaggi della politica italiana, nazionale e locale, rappresentanti delle principali associazioni di settore e rappresentanti di associazioni legate alla tutela ambientale. Lo scopo è fare il punto su quanto il settore sia andato avanti, ma soprattutto su quali saranno i prossimi passi per pianificare un trend di crescita, perché di questo si tratta. Siamo molto curiosi del report che faremo di questa giornata di lavori, per capire quali realtà nella pratica stanno lavorando in modo più efficiente su questo settore.

Nel convegno ci sarà anche un panel di costruttori. Le case automobilistiche sono passate dall’essere industrie a conduzione familiare a multinazionali: oggi sono sempre più aggregate e gigantesche, nelle dimensioni e negli interessi. Questi interessi e strategie (non solo verso i mercati “ricchi” come l’Italia, gli Stati Uniti, l’Europa, ma anche verso i paesi in via di sviluppo) quanto coincidono con la necessità scientifica e sociale di eliminare le emissioni dei mezzi che producono? Hanno interesse a eliminare i motori endotermici a favore di quelli puliti?

Io credo di sì. Non perché abbiamo a che fare con aziende particolarmente sensibili ai problemi ambientali (perché l’unica finalità è ottimizzare il business) ma perché sono spinti dalla consapevolezza del mercato a muoversi e fare ricerca. Quindi sono i cittadini, ancora una volta, a sviluppare delle azioni virtuose. Tutte le case fanno ricerca, e mettono sul mercato prodotti sempre più performanti dal punto di vista ambientale. Questa realtà, che cinque o sei anni fa coinvolgeva pochi costruttori, oggi coinvolge tutti in modo assolutamente totale: chi più, chi meno, chi è arrivato prima, chi dopo, tutti sono saliti sul treno della sostenibilità dei trasporti. Tutti partecipano alla corsa tecnologica per sviluppare modelli a emissioni sempre più basse, se parliamo di motori termici, o a migliorare l’efficienza e l’autonomia se parliamo di motori elettrici. Tutti sono assolutamente sensibili a queste nuove istanze dettate dal mercato.

Nel mondo dell’automotive ci sono voci contrarie all’abbandono dei motori endotermici per motivi ambientali. La tesi più frequente è che la produzione di un mezzo a zero emissioni compenserebbe in negativo le emissioni inquinanti della benzina che viene bruciata durante la vita di un mezzo simile: a partire dall’energia necessaria a farlo funzionare, dall’attività estrattiva necessaria per la costruzione batterie, e in generale per tutta la filiera della produzione. Come si può rispondere a questa obiezione?

Questo è un tema molto complesso e molto articolato. Sicuramente il tema del litio (l’elemento chiave delle batterie di accumulo dei mezzi elettrici, nda.) è un tema molto sentito e molto delicato. Non è assolutamente vero che la costruzione di un’auto a propulsione elettrica, nel suo intero ciclo di vita, sia più penalizzante, dal punto di vista delle emissioni, di un’auto col motore a scoppio. Occorre sicuramente innovare per arrivare, come in molti laboratori sta accadendo, a sviluppare tecnologie per la conservazione e l’accumulo dell’energia, diverse dal litio; che per altro è molto efficiente ma ha il problema del reperimento della materia prima. Sono convintissimo che nel momento in cui il mercato si sviluppi ulteriormente, come per altro sta già ampiamente avvenendo, ci saranno ulteriori stimoli per investire sull’innovazione tecnologica come è avvenuto in tutti i settori. Sono convinto che la mobilità elettrica sia la strada maestra per arrivare, come l’Europa ci spinge a programmare, ad un continente a emissioni zero nel 2050.

Se potessimo guardare 50 anni nel futuro: l’Italia, una strada, un autogrill… che cosa vedremmo di diverso da ciò che vediamo oggi?

Molte cose, moltissime. Sono particolarmente ottimista. Da quarant’anni mi occupo di sostenibilità ambientale: se mi avesse fatto questa domanda qualche anno fa sicuramente lo sarei stato molto meno; ma oggi mi definisco sicuramente un ottimista. Perché l’innovazione tecnologica sta diventando davvero un grande aiuto per superare certi ostacoli; e la consapevolezza dei cittadini, e di conseguenza anche della politica che non era affatto scontata qualche anno fa, sta davvero cambiando l’algoritmo della sostenibilità. Chi si occupa di ambiente, chi propone delle soluzioni efficienti, tecnicamente e a livello ambientale, non è più una sparuta minoranza ma oggi è la maggioranza; sia perché è diventato economicamente vantaggioso, sia perché gli stimoli economici sono diversi da prima. Questo mi fa essere davvero molto molto ottimista. Ritengo che tra cinquant’anni avremo risolto molti problemi. Probabilmente non si trasporteranno più le merci su gomma; forse neanche più su ferro, perché ad esempio ci saranno delle linee sotto o fuori terra per trasportare sottovuoto le merci e le persone. Molti laboratori stanno sperimentando questo. Probabilmente fra cinquant’anni gli aeroplani non emetteranno più nulla perché saranno a idrogeno o direttamente elettrici, e quindi anche le navi. Sicuramente non esisteranno più automobili con motori termici. Già da qualche anno abbiamo anche i trattori elettrici; quindi anche nelle campagne si lavorerà senza emissioni. Addirittura nei cantieri ci saranno macchine completamente elettriche per movimentare la terra: già esistono. Credo che fra cinquant’anni tutti i mezzi meccanici presenti nella nostra vita, professionale e di relazione, ma anche nei nostri divertimenti e nella nostra vita culturale, saranno a bassa immissione o nulla. Quindi avremo sicuramente un’altra qualità della vita.

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