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Scuola Poli (Torino): da “ghetto” a rischio chiusura, a modello di integrazione.

Qualità degli insegnanti, impegno dei dirigenti e programmi educativi moderni hanno trasformato una scuola multietnica di Torino da esempio della povertà educativa a modello da imitare.

Nella puntata di “Ecosistema” dell’11 giugno abbiamo affrontato l’argomento della povertà educativa, riportando le statistiche sull’abbandono raccontando una buona pratica sulla necessaria integrazione tra alunni italiani e alunni figli di stranieri nelle grandi città meta di immigrazione. Potrebbe sembrare un’ulteriore difficoltà per il processo educativo ma, come  spesso avviene, quando alle capacità professionali si uniscono il senso civico e la buona volontà, anche il mondo della scuola può fornire ottimi esempi da seguire. È quanto accaduto nella piccola scuola elementare di un quartiere multietnico di Torino: dopo aver rischiato la chiusura per mancanza di iscrizioni, grazie all’iniziativa e ai progetti di una dirigente scolastica illuminata, è diventata un esempio di integrazione e qualità nella didattica. La scuola, 5 classi per un totale di 93 alunni è stata da poco intitolata a Gabriella Poli, giornalista de La Stampa. Un’altra giornalista del quotidiano torinese, Maria Teresa Martinengo, ha raccontato questa storia nell’intervista al programma di ErthDay.it trasmesso da Radio Vaticana Italia.

Maria Teresa, ricordiamo la figura di questa collega, Gabriella Poli: la sua importanza nel mondo del giornalismo e il motivo per cui le è stata dedicata una scuola di Torino.

È stata la prima donna giornalista professionista, assunta a La Stampa dal direttore Giulio De Benedetti che, fino a quel momento, non aveva voluto avere donne in redazione. Nel 1977 è stata nominata capocronista dal direttore Arrigo Levi: prima donna in Italia a dirigere la cronaca di un grande giornale, che si componeva allora di diverse decine di giornalisti. È stata una figura molto interessante. La sua vita è stata ispirata ai valori dell’antifascismo dell’antirazzismo: era stata staffetta partigiana, ed è stata una grande amica di Primo Levi che aveva introdotto a La Stampa come collaboratore. L’aveva conosciuto durante un viaggio della memoria a Buchenwald a metà degli anni ’50. Negli anni ’70 era stata una dei giornalisti (forse la più importante da questo punto di vista) che avevano introdotto Levi a La Stampa come commentatore e collaboratore.
Questa piccola scuola, al 100% multiculturale, collocata in un quartiere molto interessante ma anche molto complesso di Torino, Porta Palazzo, è stata intitolata a Gabriella Poli perché la dirigente Concetta Mascali cercava una figura femminile da proporre come esempio alle alunne. L’ha individuata in Gabriela Poli a seguito di una serie di nostri articoli, apparsi in occasione della traduzione francese-inglese del libro che Gabriella aveva dedicato a Primo Levi.

“Entriamo” in questa scuola. Hai fatto cenno a quest’altra donna di notevole spessore: Concetta Mascali, una dirigente scolastica. Descrivi l’ambiente didattico e sociale di Porta Palazzo: qual era, e qual è ora la situazione di questo plesso scolastico?

Porta Palazzo è un quartiere centrale di Torino. Dall’Ottocento in poi è stato il quartiere dell’immigrazione a Torino. Tutte le migrazioni, le diverse ondate dalle campagne piemontesi, dal veneto, dal meridione e infine, negli anni ’80 da tutto il mondo, migrazioni sono passate da lì. Anticamente perché aveva anche una stazione ferroviaria; nel Novecento perché molto ricco di case modeste, mal tenute, quindi abbordabili per famiglie che arrivavano con pochissimi soldi. La scuola di cui parliamo, che fino a pochi giorni fa si chiamava Scuola Primaria di via Fiocchetto, una decina di anni fa è stata a rischio di chiusura. Se n’erano andati anche gli ultimi italiani perché le famiglie italiane della zona non si fidavano di una scuola molto popolata da bambini, figli di famiglie emigrate dalla Cina, dal Marocco, dall’Egitto, dalla Nigeria e così via. Rischiava perché anche le famiglie straniere più “attente”, definiamole così, temevano l’effetto ghetto: cioè che i propri figli non fossero istruiti e curati in modo adeguato, dovendo magari aspettare gli ultimi arrivati con scarsa conoscenza della lingua italiana. Concetta Mascali si è opposta a questo stato di cose e ha cercato di dare a questi bambini il meglio, di dare di più. Questi bambini avevano più bisogno, lei ha cercato di dare il massimo possibile. Che cosa? Intanto mettere in quella scuola i suoi insegnanti più motivati. Alcuni erano erano ovviamente già presenti, altri sono stati trasferiti a via Fiocchetto da altre sedi del suo “Istituto Comprensivo Regio Parco”. Non solo: nell’istituto comprensivo esisteva già un progetto di musica. La dirigente Mascali l’ha portato in via Fiocchetto come valore aggiunto: programmando per ogni classe due ore di musica settimanali in orario scolastico. Quindi non un corso extra, fatto pagare alle famiglie. Sensibilizzando l’opinione pubblica, è riuscita ad avere degli aiuti per comprare violini e violoncelli per tutte le classi. C’è un’associazione di musicisti, tutti diplomati in didattica della musica, che entra a scuola e, con l’assistenza di maestre statali, fa queste due ore di pratica musicale, che hanno un effetto assolutamente straordinario. La formula è quella del sistema Abreu di cui abbiamo visto  i benefici effetti, peraltro in numerosi film anche negli ultimi anni…

… la funzione didattica e sociale della musica. Mi preme sottolineare che, come hai raccontato al convegno dove ci siamo conosciuti, nella scuola in generale non c’è solo una carenza strutturale di insegnanti, di strutture, di finanziamenti, ma anche un rapporto deteriorato tra il corpo docente, le famiglie e i ragazzi. Raccontavi che anche Concetta Mascali, nonostante rappresenti un esempio, una buona pratica del nostro mondo scolastico, incontra difficoltà nel rapporto con le famiglie. 

Sì. Negli ultimi anni, con episodi molto gravi, abbiamo visto le difficoltà di rapporto scuola-famiglia. Il ragionamento era sulla povertà educativa: spesso pensiamo che la povertà educativa riguardi principalmente i poveri, o in particolare certi contesti come le famiglie straniere. In realtà la povertà educativa coinvolge abbondantemente gli italiani, anche benestanti. Questo era proprio l’aspetto che sottolineava Concetta Mascali. Leggo una sua frase: “È difficile combattere la povertà educativa di oggi perché le famiglie molto spesso non accettano critiche. I figli vengono idolatrati. È difficile avere uno scambio, entrare in vera comunicazione”. Diceva appunto che spesso c’è molta povertà di pensiero, che ci sono genitori che replicano atteggiamenti colti in televisione “e sono chiusi in una sorta di prigione ancora più difficile da combattere delle povertà dei re di un tempo.”

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