Il nuovo rapporto sulla qualità dell’aria dell’Agenzia Europea per l’Ambiente evidenza un calo di tutti i principali inquinanti atmosferici, ma questa resta la maggiore minaccia ambientale alla salute dei cittadini e gli obiettivi “Zero Pollution” sono ancora lontani.
L’Agenzia Europea per l’Ambiente (EEA) ha pubblicato il rapporto 2021 sulla qualità dell’aria dei 27 paesi membri, basato sui dati raccolti nel 2019. L’EEA ritiene l’inquinamento atmosferico il rischio ambientale che ha maggiore impatto sulla salute dei cittadini europei. Infatti in tutta l’Unione sono stati registrati 307.000 morti premature collegabili all’esposizione al particolato. Si stima che il 97% degli abitanti delle città europee è esposto a livelli di polveri sottili (PM2.5) superiori alla soglia di tolleranza. Altri 40.400 decessi prematuri sono attribuiti ai livelli di biossido di azoto, e ulteriori 16.800 all’esposizione all’ozono.
Un numero di morti alto ma, sottolinea il rapporto, diminuito del 33% rispetto al 2005, quando le vittime del particolato furono 456.000. Quell’anno è anche il riferimento del “Zero Pollution Action Plan”, il piano che prevede una riduzione del 55% del numero di vittime del particolato entro il 2030. La strada sembra quella giusta, anche perché i dati attuali mostrano un calo di emissioni di tutti i principali inquinanti; ma lo stesso rapporto dell’EEA ricorda che se l’Unione avesse applicato le linee guida dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO), nel 2019 avremmo dovuto registrare un numero di decessi per malattie legate all’inquinamento dell’aria del 72% inferiore ai livelli del 2005. Le linee guida, tanto della WHO quanto dell’UE, fissano i livelli massimi di presenza in atmosfera per i principali inquinanti (benzene, arsenico, cadmio, nickel, piombo, particolato PM2.5 e PM10, monossido di carbonio, biossido di azoto, ozono ed altri): superare questi livelli mette a rischio la salute umana; tra le conseguenze conclamate ci sono gli ictus, i tumori polmonari, le infezioni alle vie respiratorie, l’asma in forma grave.
Il rapporto pone anche l’accento sulle differenze territoriali, ed afferma in modo esplicito: “Il luogo in cui vivi influisce sui rischi a cui sei esposto”. Ad esempio l’esposizione al biossido di azoto aumenta di molto in contesti urbani; mentre i cittadini dei paesi del centro-nord Europa, a causa dell’uso di combustibili solidi per l’industria e il riscaldamento domestico, subiscono maggiori concentrazioni di particolato e di benzo(a)pirene, un idrocarburo cancerogeno. Le regioni del sud, più soleggiate, registrano invece più alte concentrazioni di ozono.
Il rapporto infine stabilisce le diverse quote di emissioni di inquinanti riferite alle differenti attività umane. Il particolato (sia PM10 sia PM2.5) è generato principalmente dal consumo di energia in contesti residenziali, commerciali e istituzionali; di secondo piano il ruolo dei trasporti e delle produzioni manifatturiere e industriali. Il contributo più pesante dei trasporti stradali è il livello di ossido di azoto: il 39% di queste emissioni viene dai motori di automobili e mezzi pesanti. La produzione di energia causa il 46% del totale di emissioni di biossido di zolfo. L’industria e le attività estrattive sono la causa prima del superamento di livelli di metalli pesanti come nickel, piombo, mercurio e arsenico. L’agricoltura invece è responsabile principale delle emissioni di ammoniaca (per il 94% del totale di questo inquinante) e del metano (gas fortemente climalterante la cui seconda fonte di emissioni in atmosfera sono i rifiuti).