Cambiamento Climatico Pianeta

Giornata Mondiale per la Lotta alla Desertificazione e alla Siccità. A rischio il 40% del Pianeta

La Giornata Mondiale per la Lotta alla Desertificazione e alla Siccità, celebrata ogni 17 giugno, è stata istituita dall’ONU il 30 gennaio 1995, promossa dalla Convenzione delle Nazioni Unite contro la desertificazione (UNCCD), firmata a Parigi il 17 giugno 1994. Questa giornata ha l’obiettivo di sensibilizzare e rendere le persone…

La Giornata Mondiale per la Lotta alla Desertificazione e alla Siccità, celebrata ogni 17 giugno, è stata istituita dall’ONU il 30 gennaio 1995, promossa dalla Convenzione delle Nazioni Unite contro la desertificazione (UNCCD), firmata a Parigi il 17 giugno 1994. Questa giornata ha l’obiettivo di sensibilizzare e rendere le persone consapevoli sui temi della prevenzione alla desertificazione e alla siccità, ma anche l’occasione per proporre soluzioni a queste calamità. Quest’anno il tema cardine è “Uniti per la terra. Nostra eredità. Il Nostro futuro”, la corretta gestione del territorio come risorsa più preziosa e indispensabile alla vita dell’Uomo.

“Fino al 40% del territorio mondiale è già degradato, colpendo quasi la metà dell’umanità. – ha ricordato Ibrahim Thiaw, segretario esecutivo dell’UNCCD- Eppure le soluzioni sono sul tavolo. Il ripristino del territorio fa uscire le persone dalla povertà e rafforza la resilienza ai cambiamenti climatici. È tempo di unirsi per la terra e mostrare il cartellino rosso alla perdita e al degrado della terra in tutto il mondo.”

Una piaga che colpisce direttamente 55 milioni di persone, ma coinvolge il 40% della popolazione mondiale

La desertificazione, secondo la definizione dell’ UNCCD, è la “degradazione delle terre in aree aride, semi aride e sub-umide principalmente causata dalle attività umane e dal cambiamento climatico”. Una tale condizione si sviluppa nella progressiva scomparsa della biosfera fino alla trasformazione dell’ambiente in condizioni di tipo desertico. Tale processo, per lo più irreversibile, va distinto dal concetto di siccità: la mancanza o la scarsità di acqua in un preciso luogo geografico che si protrae per un periodo di tempo. Prolungati periodi di siccità portano questi luoghi a diventare aridi.

La desertificazione è un processo costante frutto di componenti, naturali e dovute all’attività umana: l’erosione dello strato superficiale fertile che viene azzerato; la compattazione del suolo attraverso l’uso di macchine agricole e mezzi pesanti che non ne permettono la respirazione, come il cemento; la contaminazione da veleni come fertilizzanti e antiparassitari utilizzati nell’ agricoltura intensiva.

La desertificazione quindi può essere definita come il livello più estremo di degrado del suolo strettamente connesso alla questione siccità. Secondo i dati UNCCD, i periodi di siccità sono cresciuti del 29% rispetto a inizio millennio.

I dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità ci dicono che ogni anno la siccità colpisce direttamente 55 milioni di persone e i loro mezzi di sussistenza come raccolti e bestiame, aumentando il rischio di malattie e migrazioni di massa, ma anche conflitti armati nelle aree povere del pianeta per il controllo dei bacini idrici. La scarsità d’acqua colpisce il 40% della popolazione mondiale e, entro il 2030, si stima che 700 milioni di persone saranno costrette a lottare con questa calamità.

 

Quando la vita è insostenibile: dal Lago d’Aral alla regione del Sahel

Gli esempi significativi sono presenti in tutti i continenti. Impressionante è la storia del Lago d’Aral, un tempo il quarto più esteso al mondo con una superficie di 68.000 km2, tra Uzbekistan e Kazakistan. Questo lago salato, con una superficie paragonabile a quella dell’Irlanda e una profondità massima di 42 metri, a partire dagli anni ’60 venne privato degli affluenti che lo alimentavano per la creazione di appezzamenti dediti alla coltivazione del cotone. In 60 anni si è ritirato del 60% per superficie e del 90% per volume. Oggi la superficie è di soli 17.000 km2, una distesa di suolo salino e sterile che, anche a causa dell’utilizzo intensivo di diserbanti chimici per le coltivazioni, non da alcuna possibilità di utilizzo. Questo graduale processo di degrado causato dall’uomo ha causato un pesante cambiamento dell’equilibrio climatico della regione, con temperature che arrivano a -35 gradi di inverno a un massimo di 50 gradi d’estate.

 

Il Lago Aral nel 1989 e nel 2014
Il lago Aral nel 2021

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ma l’esempio forse più noto riguarda il deserto del Sahara che a causa del cambiamento climatico, in 100 anni, è cresciuto del 10%, ovvero di 1 milione di km2.

La situazione più critica riguarda la fascia del Sahel che attraversa l’Africa dall’Oceano Atlantico fino all’Eritrea che si affaccia sul Mar Rosso, per un totale di oltre 7 milioni di km. Questa distesa di terra spoglia, tra le più povere al mondo e tra le più colpite dal riscaldamento globale, ormai da decenni soffre il processo di degrado del suolo e periodi sempre più lunghi di siccità. La popolazione del Sahel, circa 90 milioni di abitanti per 9 stati coinvolti, risente di queste ostilità non solo da un punto di vista alimentare, ma anche sociale e politico: negli ultimi 4 anni quasi 3 milioni di persone sono rimaste sfollate tra Mali, Niger e Burkina Faso, a causa di instabilità politiche, sociali e invivibilità dei territori. Nel solo Burkina Faso, dall’ aprile 2024 ad oggi, più di 117.000 persone sono scappate dal Paese verso le coste più vicine. Intere città come Nouakchott, capitale della Mauritania con 1 milione di abitanti costruita alle porte del Sahara negli anni ’60, sono sempre più minacciate dall’insabbiamento.

 

Proviamo a cambiare rotta: la Grande Muraglia Verde

La regione del Sahel tuttavia è anche al centro di una pionieristica iniziativa per bloccare l’avanzata della desertificazione sahariana: si chiama Grande Muraglia Verde, progetto che coinvolge 20 paesi africani, avviato nel 2007 dall’Unione Africana e sostenuta dall’UE e dalla FAO con l’obiettivo, appunto, di creare una sorta di muraglia composta da milioni di alberi e vegetazione varia per fermare l’avanzata del Sahara verso sud e far ricrescere l’economia del Sahel, rigenerando un ecosistema florido, dare la possibilità di una dieta variegata alla popolazione, aumentare i posti di lavoro, poter far studiare i bambini e quindi migliorare la qualità della vita. Se dovesse essere completata, sarebbe l’opera di riforestazione più imponente della storia, per una larghezza di 15km e una lunghezza di 8.000km, dal Senegal all’Eritrea, un territorio di 100 milioni di ettari di terreno capaci di catturare 250 milioni di tonnellate di CO2 nell’atmosfera.

La situazione politica e sociale dei paesi coinvolti non sta aiutando l’avanzata dell’opera, che dovrebbe essere conclusa entro il 2030, ma nel 2021 sono stati stanziati altri 14 miliardi di dollari dei 33 miliardi previsti per il suo totale completamento.

In sostanza, la desertificazione rappresenta una minaccia seria non solo per l’ambiente, ma anche per la sopravvivenza delle comunità che dipendono da questi territori, anche da un punto di vista di convivenza storica, colonne portanti del patrimonio culturale di molti paesi, non solo in Africa. È essenziale adottare misure efficaci per prevenire e contrastare questo processo di degrado del suolo, al fine di proteggere le risorse naturali e garantire un futuro sostenibile per le generazioni a venire.

La Grande Muraglia Verde che attraversa l’Africa dal Senegal all’Eritrea

La situazione in Italia

L’Europa si presenta tutt’altro che fuori pericolo da siccità e desertificazione. I paesi che ne soffrono di più sono quelli affacciati sul bacino mediterraneo, tra cui l’Italia.

Usando la metodologia proposta dalle Nazioni Unite che si rifà all’agenda 2030 e alla Convenzione dell’ONU per la lotta alla desertificazione, che si basa su indicatori di produttività di contenuti di carbonio organico e di copertura del suolo, si è calcolato coi dati di Ispra che il 17% del territorio nazionale ha problemi di grave degrado, su un’area che a macchia di leopardo ricopre tutto il territorio, soprattutto al sud, dove il fenomeno è molto più consistente ma senza vaste distese desertificate. La Sicilia è la regione più esposta al processo di desertificazione: nel 2022 sono diventati aridi 117 chilometri quadrati di suolo.

Sempre il mezzogiorno è particolarmente colpito dalla siccità. I deficit idrici più gravi (rapporto Ispra 2023 su dati 2022)si registrano in Sicilia con un -80,7%, in Sardegna un -73%, mentre al nord grave è il distretto del Po con un -66%.

Un esempio importante è costituito dal lago artificiale di Occhito, al confine tra Molise e Puglia: la superficie della sua diga è calata di 8 metri rispetto al 2023. Sempre in Puglia si è registrato un deficit di 160 milioni di metri cubi di acqua, mentre in Calabria si è arrivati ad un deficit di 180 milioni di metri cubi. Sempre secondo i dati Ispra, se calcoliamo il deficit nazionale, nel 2022 è stato raggiunto il minimo storico con un calo di disponibilità idrica di 67 miliardi di metri cubi.

ANBI: ci vuole cultura della risorsa

I dati dell’ANBI (Associazione Nazionale Consorzi di gestione e tutela del territorio e acque irrigue) ricordano che circa il 70% della superficie della Sicilia, colpita quest’anno da una drammatica siccità (dal razionamento idrico all’abbattimento di capi animali per l’impossibilità di garantirne la sopravvivenza) presenta un grado medio-alto di vulnerabilità ambientale; seguono il Molise (58%), la Puglia (57%), e la Basilicata (55%). Sei regioni (Sardegna, Marche, Emilia Romagna, Umbria, Abruzzo e Campania) presentano una percentuale di territorio a rischio desertificazione, compresa fra il 30% e il 50%, mentre altre 7 (Calabria, Toscana, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Lombardia, Veneto e Piemonte) sono fra il 10% ed il 25%.

 

Insomma, è necessario cambiare mentalità e obiettivi, come aumentare la manutenzione delle dighe, con 1,47 miliardi di metri cubi di acqua che oggi non possono essere raccolti perché i bacini artificiali con ricolmi di terra. In forte mancanza è anche in settore delle infrastrutture, con solo l’11% di acqua piovana raccolta. È ancora troppo debole il tema dell’innovazione: troppo scarso è il riutilizzo delle acque reflue e la desalinizzazione dell’acqua di mare, l’utilizzo di intelligenza artificiale, algoritmi e satelliti per consigli agricoli come la quantità e tempistiche di utilizzo dell’acqua per l’irrigazione del terreno. E infine, cosa forse più importante, è una bassissima cultura della risorsa, che non riguarda solo l’utilizzo dell’acqua, ma anche del terreno agricolo, delle foreste e di tutti quegli ecosistemi che favoriscono la prosperità dei nostri territori.

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