Foto: Ingram - Freepik.com
Ecosistema Interviste Pianeta

Boccaletti: Sulla Terra c’è acqua per tutti, ma la nostra “sicurezza idrica” è un’illusione.

Giulio Boccaletti, tra i massimi esperti delle risorse idriche, analizza il rapporto dell’uomo con l’acqua: dalle società del passato che subivano alluvioni e siccità, all’era contemporanea che avrebbe i mezzi per reagire alla scarsità e alla desertificazione ma ha perso contatto con la natura e resta insensibile ai problemi di accesso all’acqua causati dal cambiamento climatico.

In occasione della Giornata Mondiale per la Lotta alla Desertificazione e alla Siccità, “Ecosistema” la rubrica radiofonica di Earth Day Italia, ospitata nel programma “Il Mondo alla Radio” di Radio Vaticana Italia, ha intervistato Giulio Boccaletti, fisico, climatologo, ricercatore onorario Università di Oxford e autore del libro “Acqua. Una biografia” edito da Mondadori. Di seguito la versione integrale dell’intervista radiofonica.

Professore, lo chiamiamo “pianeta blu”, ma in realtà quanta acqua c’è sulla Terra? E soprattutto, quanta ce n’è utile ai nostri bisogni primari: bere, coltivare e abbeverare gli animali domestici?

In effetti il pianeta è coperto d’acqua: dallo spazio sembra una sfera blu, quindi c’è tanta acqua. Se fosse distribuita uniformemente, la superficie del pianeta sarebbe coperta da circa 2700 metri d’acqua. Questa però non è in realtà l’acqua di cui abbiamo esperienza. Noi dipendiamo dall’acqua che scorre nei fiumi, che si trova nei laghi, o che è accessibile relativamente vicino al suolo nelle falde acquifere. Questa è molto meno, una frazione: l’1% del totale dell’acqua del pianeta. Quindi non è scarsa nello stesso senso in cui lo è il petrolio: l’acqua viene rinnovata costantemente; però quella di cui abbiamo esperienza, quella che c’è quando ci serve, effettivamente è piuttosto scarsa.

Giulio Boccaletti

Sappiamo che la quantità di acqua sul pianeta è sempre la stessa, perché fa parte di un ciclo: evapora, poi torna a terra, scorre, e ricomincia il ciclo. Sembra confortante: se è vero che da qualche parte c’è siccità e avanza la desertificazione, da qualche altra parte c’è più acqua, visto che è un ciclo chiuso. Questo vuol dire che, come specie, siamo al sicuro? E tutt’al più ci dovremo spostare da qualche altra parte del globo per prelevarla?

È vero che la quantità d’acqua sul pianeta è sostanzialmente fissa: è la stessa da quando è apparsa sul pianeta circa 3,8 miliardi di anni, molto prima che l’uomo e qualsiasi animale apparissero sulla Terra. Ma la distribuzione dell’acqua sulle terre emerse dipende dal sistema climatico: dove piove, dove ci sono deserti, dove ci sono grandi alluvioni. Sono tutti i sintomi del clima del pianeta. Il clima prende acqua dal mare o dalle superfici bagnate; questa evapora nell’atmosfera che la porta da un’altra parte, dove precipita. Poiché il clima sta cambiando, anche la distribuzione dell’acqua sulle terre emerse cambia: in alcuni luoghi i deserti si stanno espandendo, in altri si verificano precipitazioni sempre maggiori, più frequenti e intense.  Il caso estremo è quello in cui vivono le popolazioni più povere del pianeta, ad esempio nella fascia del Sahel. Popolazioni che vivono in stati che non hanno le capacità finanziarie e operative per modificare il paesaggio e proteggersi dal cambiamento climatico. Nel loro caso effettivamente è quindi possibile che una maggiore desertificazione porti alla migrazione per trovare altre sorgenti. Nel nostro caso questo non succederà: i paesi ricchi e sviluppati hanno sufficienti risorse per finanziare la trasformazione del territorio; per stoccare l’acqua; per cambiare le coltivazioni con prodotti che hanno bisogno di meno irrigazione. Quindi noi riusciremo ad adattarci: la questione è quanto ci costerà e chi dovrà pagare; ma nel caso delle popolazioni più vulnerabili del pianeta non c’è dubbio che, se la distribuzione d’acqua cambiasse in maniera estrema, ci potremmo trovare di fronte a migrazioni.

Nel suo libro il capitolo intitolato “Origini” chiarisce che l’acqua si è formata nello spazio e poi è “caduta” sul nostro pianeta formando tutto quello che vediamo. L’uomo oggi cerca fonti d’acqua su altri pianeti e in altri sistemi solari. È credibile che ne arriverà altra, oppure che andremo a prenderne altra nello spazio, se dovesse mancare qui sulla Terra?

No. Comunque questo è sostanzialmente irrilevante: c’è abbastanza acqua sul pianeta per soddisfare qualsiasi bisogno umano. Il problema è dove si trova, e quanto costa farla arrivare dove serve. Le questioni di accesso all’acqua sono fondamentalmente economiche, non fisiche: perciò le popolazioni più vulnerabili sono inevitabilmente quelle più povere. Effettivamente l’acqua è arrivata sul pianeta dall’esterno. Per evitare che la gente immagini la “pioggia spaziale”: è successo semplicemente che l’acqua è presente in tutto il sistema solare. Ossigeno e idrogeno erano parte del plasma proto stellare che esisteva prima della formazione del sistema solare; quando questo si è formato c’era acqua ovunque, perciò sappiamo che c’è acqua su Marte e su vari altri satelliti e pianeti. La Terra era più calda e troppo vicina al Sole per avere acqua in superficie: l’acqua sarebbe evaporata.  Una teoria, andata avanti per molto tempo, è che l’acqua si trovasse all’interno del pianeta e poi sia degassata nel processo di raffreddamento del pianeta. Oggi in realtà si pensa che l’acqua sia arrivata portata da una serie di asteroidi del sistema solare che, essendo più esterni si erano raffreddati prima della Terra. Quindi, a meno che un altro asteroide ci colpisca – e speriamo di no – è improbabile che si aggiungeranno quantità significative di acqua. Comunque la quantità totale di acqua sul pianeta è enorme, se contiamo anche quella di oceani e ghiacciai. Il problema non è la quantità della molecola ma l’accesso alla risorsa idrica quando e dove serve. È una questione, profondamente umana, di gestione del territorio. Ci dobbiamo preoccupare di questo, e non di andare in giro per lo spazio a cercare più acqua.

A scuola si studia fin da bambini  che le civiltà si sono sviluppate vicino e grazie all’acqua. Lei ha scritto una “biografia dell’acqua”: un percorso storico di questo rapporto tra l’uomo e l’elemento idrico. In passato questo rapporto era più razionale? I nostri antenati cinesi, babilonesi, egiziani, romani, erano più attenti a non sprecarla? Oppure anche loro hanno fatto errori madornali nell’utilizzo di questa risorsa?

Tutte le società fanno errori: è così che imparano a non farne più. Nel periodo storico di cui ha scritto, dal Neolitico ad oggi, col senno di poi ne possiamo vedere tanti. La grande differenza tra noi e le civiltà del passato, fino al XIX secolo, è che la maggior parte delle persone appartenenti a quelle società avevano ben presente quanto fosse importante l’acqua del territorio per la loro vita. La prima ragione è che fino alla seconda rivoluzione industriale, alla fine dell’Ottocento, tutte le economie del mondo erano fondamentalmente agrarie. Il prodotto principale delle società umane era l’agricoltura, e in agricoltura l’acqua è fondamentale: se cresce ed è verde vuol dire che usa acqua. La fotosintesi è il fondamento della formazione di biomassa vegetale. Quindi l’acqua era chiaramente importantissima: la gente sapeva che se non avesse piovuto non avrebbe potuto produrre grano; se non avessero stoccato l’acqua non sarebbero riusciti a sopravvivere alla siccità. Delle società antiche noi immaginiamo gli acquedotti e le grandi infrastrutture idrauliche dei romani. In realtà le società antiche, medievali e moderne preindustriali, pur costruendo infrastrutture, fondamentalmente erano alla mercé degli eventi naturali: dovevano sopravvivere alle inondazioni e alle siccità; non c’erano meccanismi e soluzioni comparabili a quelle che abbiamo noi. Nel XX secolo è successa una cosa straordinaria: le società umane ricche, i paesi che si sono sviluppati e industrializzati, hanno speso enormi risorse per trasformare il paesaggio, costruire canali e argini, in modo che la maggior parte delle persone potesse vivere in città e in comunità senza mai preoccuparsi di che cosa facesse l’acqua, che è stata sostanzialmente separata da noi. Questo ci ha resi ciechi e insensibili a ciò che sta succedendo all’acqua. Quindi anche in passato facevano errori, ma se ne rendevano conto abbastanza rapidamente. Noi invece facciamo errori ma, poiché la maggior parte di noi è totalmente separata dal mondo idrico, che ci circonda non ce ne accorgiamo finché le soluzioni che abbiamo messo in piedi falliscono in modo catastrofico: improvvisamente ci accorgiamo di scarsità catastrofiche, come ad esempio quella del Po; o quando ci sono alluvioni che portano via parte di una montagna o una comunità. A quel punto ci ricordiamo effettivamente del problema. Perciò la grande distinzione è questa: non che gli antenati fossero più bravi o non facessero errori, ma gli errori erano molto visibili e la società rispondeva immediatamente. Mentre noi ci siamo adattati a una sicurezza idrica che, in fondo, è un po’ un’illusione.

C’è chi interpreta molti conflitti moderni, presentati come scontri ideologici, politici o religiosi, come guerre per accaparrarsi le risorse idriche. Un esempio è il conflitto israelo-palestinese che secondo alcuni in realtà sarebbe un conflitto per il controllo delle acque del Giordano. In un recente articolo lei mette in dubbio queste interpretazioni delle guerre che riguardano confini segnati da fiumi e bacini idrici.

Non sono solo io a metterle in dubbio; in realtà c’è un’ampia letteratura accademica che ha esplorato questa domanda: se si possano attribuire i conflitti ai problemi dell’acqua che attraversa i confini tra due stati. Semplicemente, quest’ipotesi che gli stati vadano in guerra per l’acqua non è empiricamente sostenuta. Vale persino per la questione tra Israele e la Lega Araba degli anni ‘60-‘70; cioè i conflitti che sono finiti con gli accordi di Camp David, che pure si erano svolti intorno al fiume Giordano, e in cui il fiume aveva giocato un ruolo operativo e tattico. Il Giordano è da sempre un fiume con grande scarsità di acqua, ma i conflitti sono successi dopo che è nato lo stato di Israele; dopo che si sono create queste tensioni con l’Egitto di Nasser, con la Lega Araba e il panarabismo degli anni ‘60 e ’70. Attribuire i conflitti a una sola causa è sempre un errore. Nessuno sa leggere nell’animo degli uomini; in realtà per i conflitti ci sono tante ragioni.  Avere una teoria causale per i conflitti è un esercizio per gli storici, non per gli analisti del presente. Confutare questa tesi, cioè dimostrare che l’acqua non è in realtà causa di conflitti, è importante non solo come discussione accademica, ma anche perché in realtà c’è un altro fatto empirico: l’acqua è uno strumento di cooperazione di pace tra stati molto più spesso di quanto sia uno strumento di conflitto.  Ci sono circa 310 fiumi che attraversano più di uno stato, e vediamo che in molti casi gli stati alla fine cercano di cooperare; forse perché l’acqua è fondamentale, troppo importante per l’esistenza per scatenarci sopra un conflitto. Basti pensare alla relazione tra India e Pakistan, che vivono sull’Indo. Questo grande fiume (nasce in Tibet, nda.) passa in India e finisce in Pakistan: due paesi, due potenze nucleari, che si sono fatte la guerra per tre volte negli ultimi 50 anni, ma non per l’acqua: durante quegli anni hanno continuato a cooperare sulla gestione dell’Indo. Vale anche per il Giordano e la storia del conflitto arabo-israeliano: quando Sadat (il Presidente egiziano, nda) iniziò il processo di pace con Israele, ai tempi di Camp David (nel 1978, nda.), una delle cose di cui si parlò fu di utilizzare le acque del Nilo per aiutare a sviluppare il Negev (il deserto in territorio israeliano non lontano dal confine con l’Egitto, nda.) per supportare la gestione dei rifugiati arabi. Quindi, in realtà, le evidenze indicano che non si può dimostrare che l’acqua sia causa di conflitti; ma si può dimostrare che, spesso, la diplomazia sulle questioni idriche può aiutare la cooperazione tra gli stati. Questo è il motivo per cui ho scritto l’articolo e per cui accademici si preoccupano di questa che non è una verità. Molti dicono che si combatteranno guerre per l’acqua… Non è vero! Dobbiamo focalizzarci sull’acqua come strumento di pace e di cooperazione.

Articoli collegati

Oltre il Patto per il Futuro!

Redazione

Dal 6 al 13 ottobre la XII edizione de “La Settimana del Pianeta Terra”, il Festival nazionale delle Geoscienze

Giovanni Pierozzi

Tutto pronto per il Summit del Futuro 2024. I giovani al centro del dibattito

Giovanni Pierozzi