Economia

European green deal: 1.000 miliardi per decarbonizzare l’Europa. Prossimo passo una legge sul clima

L’analisi con Elisa Giannelli (E3g): obiettivo emissioni zero al 2050 richiederà capacità di accordarsi e di rispettare gli impegni. Speranza è che gli stati membri colgano questa opportunità per creare una nuova società.

Lo scorso 17 luglio, in occasione del suo primo discorso da presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen ha messo nettamente la sostenibilità al centro della sua visione dell’Europa. L’obiettivo, molto sfidante, che ha posto la von der Leyen è la neutralità carbonica del continente, zero emissioni di CO2, al 2050.
Per raggiungere questo obiettivo è stato lanciato lo european green deal, un patto verde europeo per orientare gli investimenti comunitari verso attività più sostenibili e accompagnare il continente in una giusta transizione energetica e garantire che il passaggio da un’economia basata sull’utilizzo di combustibili fossili ad un modello decarbonizzato possa risultare sostenibile anche dal punto di vista sociale. Un piano di investimenti sostenibili che in questo inizio 2020 è stato indicato in mille miliardi in dieci anni.

Su Ecosistema, trasmissione di Earth Day Italia in onda su Radio Vaticana Italia, l’analisi di Elisa Giannelli, ricercatrice di stanza a Bruxelles di E3G, tra i principali istituti europei di analisi sulle politiche del clima e dell’energia.

 

Ursula von der Leyen fin dall’inizio del suo mandato ha mostrato la chiara volontà di indirizzare la politica comunitaria verso lo sviluppo sostenibile. Il primo atto concreto di questo annunciato green deal è un piano di investimenti da 1.000 miliardi di euro in 10 anni. Da dove arriveranno questi fondi e che tipo di interventi andranno a sostenere?
Il piano di investimenti per il green deal europeo ha principalmente tre obiettivi che sono quelli di aumentare i finanziamenti per facilitare la transizione a un’economia più pulita, creare un quadro normativo che faciliti questo tipo di investimenti, sia da un punto di vista privato che pubblico, e infine supportare le amministrazioni nell’esecuzione concreta di questi progetti.
I progetti possono essere volti sia alla creazione di nuovi posti di lavoro che alla riqualificazione di persone che verranno in qualche modo svantaggiate dalla transizione, perdendo il lavoro o semplicemente avendo appunto bisogno di riqualificarsi. Possono poi essere progetti volti alla ristrutturazione di edifici, sia pubblici che privati, oppure nel settore delle energie rinnovabili o del trasporto sostenibile.
I fondi arriveranno da varie fonti, sia già esistenti che derivanti da leve finanziarie. Più o meno la metà di questi mille miliardi arriveranno da futuri budget europei. Il budget europeo è uno strumento ha una durata di 7 anni e siamo ora nel momento chiave per stabilire il prossimo budget europeo che verrà attuato a partire dal 2021 e sarà in vigore cima al 2027. Chiaramente dopo il 2027 ci saranno altri budget che contribuiranno all’attuazione di questo piano.
L’altra metà arriverà da varie fonti: circa 300 miliardi arriveranno da investimenti privati e pubblici che sfrutteranno il cosiddetto Invest EU che è uno degli strumenti normativi del bilancio europeo; altri 100 miliardi circa la Commissione si aspetta di riceverli da un cofinanziamento nazionale e infine i cento miliardi che hanno messo sulla tavola attraverso il meccanismo per una transizione giusta.

  

Come saranno ripartiti questi fondi? Quali stati saranno i principali beneficiari?
Tutti gli stati membri potranno beneficiare di questi finanziamenti, anche se la Commissione al momento non si è esposta nel chiarire a quanto ammonteranno nello specifico i finanziamenti per ogni stato. Per quanto riguarda il cosiddetto meccanismo per una transizione giusta, sappiamo che ci saranno alcuni stati che subiranno ripercussioni sociali ed economiche più importanti da questa transizione e di conseguenza riceveranno probabilmente più fondi: possiamo aspettarci che la Polonia, la Germania e alcuni stati dell’Est saranno tra i primi beneficiari; l’Italia attualmente viene collocata al sesto posto, dopo la Francia.

 

Questo meccanismo per una giusta transizione premierà con dei fondi paesi ancora fortemente dipendenti dal carbone per la loro economia e che non sempre si sono mostrati disponibili a ripensare il proprio modello di sviluppo, pensiamo proprio alla Polonia e al comportamento che ha tenuto nelle ultime due Cop. Esistono dei meccanismi che possano garantire che gli aiuti sostengano un cambiamento reale?
È una domanda assolutamente lecita. Il meccanismo di transizione giusta è parte di questo piano di investimenti di dieci anni, ma il meccanismo in sé ha una durata di 7 anni quindi verrà applicato nel prossimo budget europeo e andrà a sostegno di lavoratori e cittadini delle regioni un po’ più colpite dalla transizione.
Al momento la Commissione ha stabilito dei criteri per ottenere questi fondi come per esempio il livello di emissioni gas a effetto serra da impianti industriali in queste regioni, il livello di occupazione nell’estrazione di carbone e nichel, due settori che chiaramente saranno in un primo momento i più esposti alla transizione, ma anche l’occupazione nell’industria e il reddito nazionale lordo di questi paesi.
Ci sono anche dei limiti rispetto a quanto un paese possa ottenere: la Commissione ha proposto di garantire a ogni stato un massimo di 2 miliardi di euro e un minimo di sei euro per abitante.
Allo stesso tempo più chiarezza deve essere fatta per quanto riguarda il monitoraggio di questi finanziamenti perché il caso cui ti riferisci, la Polonia, è vero. Per questo sarebbe importante garantire un monitoraggio su come questi finanziamenti sono effettivamente spesi.
Per ora la commissione si è solo impegnata ad organizzare su base annua un vertice per fare un punto della situazione e rimediare, in caso ci fosse bisogno, a dei buchi normativi. Metodologie specifiche per quanto riguarda il monitoraggio della spesa cadranno probabilmente nelle competenze di ciascun programma: questo vuol dire che Invest EU avrà delle proprie linee guida, il fondo per la transizione giusta ne avrà altre e così via.

  

Obiettivo è la neutralità climatica dell’Unione al 2050. Questo è sicuramente un primo passo importante ma non sufficiente. Quali saranno i prossimi?
Io credo che il difficile venga proprio adesso, nel senso che una volta chiarito l’obiettivo a lungo termine sarà essenziale anche chiarire anche quali sono i traguardi nel medio termine.
Rispettare questi obiettivi richiederà prima di tutto a tutti gli stati membri un’enorme capacità di accordarsi e poi di rispettare gli impegni. Vediamo già oggi quanto gli stati dell’Unione Europea fatichino a rispettare e ad attuare le normative esistenti e di conseguenza, nel momento in cui l’obiettivo diventerà più ambizioso, sarà ancora più difficile. È chiaro che l’Unione farà in modo di facilitare il possibile il raggiungimento di questi importanti obiettivi. Il primo step sarà una legge sul clima che verrà pubblicata fra circa un mese e che dovrebbe per l’appunto svelare dei principi guida che assisteranno gli stati membri nel raggiungimento di questo obiettivo.

 

A proposito di legge sul clima, quali immagina potranno essere i contenuti?
Non ne sappiamo ancora molto. Qui a Bruxelles si dice che sarà un regolamento abbastanza corto che avrà come obiettivo principale quello di sancire in legge l’obiettivo alla neutralità climatica entro il 2050. Ci si può aspettare che verranno definiti anche i cosiddetti traguardi intermedi, probabilmente al 2030 ma forse anche al 2040.
Infine definirà queste linee guida e questa struttura normativa che avremo bisogno di attuare per capire chi è responsabile del monitoraggio di questi obiettivi, cosa è consentito fare nello spazio dell’investimento sostenibile, che cosa invece nuoce al raggiungimento della neutralità climatica. Tutta una serie di questioni che rientrano anche in competenze nazionali, che chiaramente la Commissione Europea deve rispettare, ma se si decide in qualche modo di raggiungere questo obiettivo comune ci saranno dei compromessi da dover accettare.

 

Il new deal di Roosevelt rivoluzionò la società e l’economia americana. Il green deal europeo ha le stesse potenzialità e le stesse ambizioni?
Credo che alla base dell’idea che Ursula von der Leyen ha proposto su questo green deal europeo ci sia proprio il desiderio di rilanciare l’economia europea, prepararla per essere la prima potenza internazionale ad essere sostenibile e in qualche modo iniziare a combattere i cambiamenti climatici che abbiamo visto quanto rappresentino una preoccupazione per i cittadini europei, italiani, ma anche di altri stati del mondo.
È molto interessante vedere come gli Stati Uniti abbiano cambiato la loro posizione: ai tempi di Roosevelt portavano avanti il modello innovativo, mentre ora sembrano quasi aver paura di spostarsi in un campo più progressivo, rimangono attaccati a dei valori molto conservatori e soprattutto continuano a nuocere a questa transizione che dovrà verificarsi prima o poi.
Quello che mi posso augurare per il green deal europeo è che gli stati membri capiscano questa opportunità e siano in grado di cogliere e sfruttare al meglio l’opportunità che ci viene data, dalla Commissione Europea in questo caso, per creare questa nuova società.

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